“Non è un governo del presidente, bensì un esecutivo politico. Ora Renzi deve dimostrare di sapere fare di più e meglio di chi lo ha preceduto”. Stefano Folli, editorialista de Sole-24 Ore, già direttore del Corriere della sera, commenta il nuovo governo, sul quale pesa comunque qualche interrogativo. La vera sfida dell’esecutivo è quella di iniziare, e con un buon ritmo, l’iter delle riforme. È qui che si dedice il futuro e la credibilità di Renzi.
Oltre due ore e mezza di colloquio prima di sciogliere la riserva: qualcosa è andato storto. Braccio di ferro tra Renzi e Napolitano?
Renzi, alla fine, ha fatto il governo che voleva. Nel complesso sono tutti ministri che aveva in mente, e che danno segno di grande rinnovamento della squadra, secondo me anche con molti dubbi e interrogativi sulle persone scelte. Ha poi tenuto conto anche degli equilibri della maggioranza. Insomma, mi sembra che Renzi possa dire di essere uscito vincitore da questo confronto perché, più o meno, è il governo che aveva in testa.
Un esecutivo che ha quindi la sua impronta, Napolitano è più defilato…
Questo è un governo politico e non un governo del presidente come ci eravamo abituati negli ultimi anni.
Pare che Napolitano abbia fatto saltare Nicola Grattieri alla Giustizia. Perché?
Su questo non ci sono certezze, non si può dunque commentare.
Il suo giudizio sulla squadra dei ministri è positivo, nonostante abbia parlato di interrogativi su qualche ministero?
Ripeto, Renzi ha ottenuto il via libera per indicare i suoi uomini. Ha tenuto conto dell’equilibrio della maggioranza che è si andata a formare, anche per quanto riguarda il rapporto con gli altri componenti, ovvero il Nuovo Centrodestra di Alfano, al quale mi pare che siano state riconosciute le richieste avanzate proprio in nome di preservare questo equilibrio. Certo, come detto prima, ci sono dei punti di domanda e delle perplessità; penso per esempio alla scelta di non riconfermare la Bonino. Spetta ora al presidente del Consiglio giustificare queste sue scelte, di cui porta la responsabilità.
E adesso?
Ora bisogna procedere con le riforme. Il profilo innovatore di un governo come quello di Renzi si deve decidere in base ai programmi, al percorso in Parlamento e alla reale possibilità di attuare le riforme, ai fatti: è lì che si giudicherà. Lasciamo che questo governo cominci il suo percorso. Inizieremo a capire qualcosa lunedì, quando si terranno le riunioni programmatiche. Ora Renzi dovrà dimostrare, fin da subito, che le sue ambizioni sono adeguate alla sua capacità di realizzare i programmi. Renzi ha mandato un chiaro messaggio…
Ovvero?
Tutto quello fatto prima di lui è stato sbagliato. Se uno imposta le cose in questi termini ha poi l’obbligo – morale e politico – di dimostrare di saper fare molto meglio e di più dei suoi predecessori.
E la “battuta” di Napolitano sulla mano sul fuoco (che non mette) come la commenta? Cosa vuol far intendere?
Napolitano ha voluto far capire che questo non è un governo di cui lui apprezza tutte le scelte. Il capo dello Stato avrebbe voluto altri nomi in alcuni snodi importanti. Ma visto che è un governo politico in cui il premier rivendica la propria forza politica e responsabilità il presidente della Repubblica, alla fine, non può che accettare.
Come cambiano i rapporti di forza tra Renzi e Napolitano?
Negli ultimi due-tre anni abbiamo avuto governo in cui Napolitano è stato il baricentro. Adesso le cose sono cambiate: Renzi ha riportato a Palazzo Chigi il baricentro delle scelte. Cambia così la natura pratica della relazione tra capo del governo e Quirinale. Renzi cerca di ricondurre tutto sotto di sé: per riuscire in quest’operazione la capacità realizzativa del suo esecutivo deve essere molto alta e incisiva.
Bisogna attenderci nel prossimo futuro le dimissioni di Napolitano?
Questo ora non si può dire. Quel che è certo è che lo scenario è cambiato, quindi è possibile che il futuro ci riservi sorprese in tal senso. Più che parlare di questo, però, sono preoccupato del fatto che si possa venire a creare una dinamica e una dialettica anche ostile da parte del presidente del consiglio, proprio per questa rivendicazione di forza e di autonomia. Le premesse sembrano esserci tutte, soprattutto pensando al prosieguo della legislatura. Mi spiego: questa legislatura è destinata ad avere una vita lunga – come Renzi formalmente garantisce – oppure è un governo che, con la sua immagine, deve piacere all’elettorato preparare dunque le elezioni in tempo brevi?
Pier Carlo Padoan è il nuovo ministro dell’Economia. Il fatto che sia stato direttore della fondazione di D’Alema (Italianieuropei) ha un significato?
Ma no, è stato tante altre cose. Padoan è l’uomo giusto perché occorreva un personaggio nuovo e innovativo che rappresentasse una discontinuità con il governo Letta, ma che al tempo stesso fosse un personaggio equilibrato, non un tecnico puro, bensì un tecnico con una sensibilità politica dovuta al fatto di aver, appunto, frequentato ambienti politici. È un esperto e il suo curriculum non è certo limitato alla Fondazione Italianieuropei. E penso che l’Europa sarà sicuramente molto attenta e positiva nel giudizio su questo responsabile dell’Economia.
Scelta azzeccata quindi?
Credo che sia il punto d’equilibrio giusto tra la necessità di innovare rispetto al recente passato e il bisogno necessità di affidare l’incarico a una personalità capace di capire il senso politico delle decisioni che dovranno essere prese.
Non è dunque un nome che può rientrare in un’ottica di rapporti interni al Pd tra Renzi e l’ala di sinistra del partito?
Non credo in senso stretto. È chiaro che Renzi, in queste nomine, ha tenuto conto anche dei pesi politici generali. È il leader di uno schieramento di centro-sinistra: non poteva dimenticare, completamente, questi presupposti.
“Renzi ha la maggioranza all’interno del suo partito, ma non in Parlamento” dice Berlusconi, che parallelamente si augura che l’esecutivo duri 4 anni. Che senso hanno queste dichiarazioni? Prepara il terreno per un appoggio?
Penso che Berlusconi abbia voluto marcare un ruolo rilevante di Forza Italia in questa vicenda e il fatto che in questa fase abbia mantenuto un profilo di importante interlocutore parlamentare del governo. Dire che il presidente del consiglio non è così forte – facendo intendere che potrà avere dei problemi – è un modo per marcare, allo stesso tempo, l’importanza del rapporto con la forza d’opposizione da lui rappresentata che vuole avere un ruolo costruttivo.
(Fabio Franchini)