Caro direttore,
la politica riesce sempre a far parlare di sé. Il circolo mediatico inneggia, dileggia o descrive la vita politica del nostro paese con obiettivi ben precisi che mirano a orientare il consenso e l’umore dell’opinione pubblica. Ma al di là dell’incantesimo autoreferenziale dei media, di che cosa c’è bisogno nella politica oggi? Senza la presunzione di chiudere la questione, si possono sottolineare tre elementi di cui il nostro sistema politico pare orfano. Anzitutto la capacità di conservare. Conservare non è una brutta parola, è – anzi – un mestiere difficile: consiste nell’accostarsi alle cose senza pregiudizio e senza sospetto, pronti a riconoscere il bene che c’è e non quello che vorremmo ci fosse. Il conservatore non mira al mantenimento delle strutture esistenti, ma a custodire il bene che vede, sia esso embrionale o ampiamente sviluppato. In questo senso egli si discosta decisamente da ogni rivoluzione dettata dalla rabbia o dal qualunquismo e non è disposto – in nessun caso – a correre dietro all’urlo del più forte.
Il desiderio di chi conserva è quello di non perdere il bene, di non perdere il pezzetto di strada fatta da coloro che ci hanno preceduto. Per questo la seconda cosa di cui oggi la politica ha bisogno è la capacità di giudicare. Non tutto deve essere conservato: molte strutture sono pesi e macigni inutili al nostro tempo, zavorre che devono essere rimosse. Ma non si può rimuovere a caso, occorre un giudizio autentico e non superficiale. Oggi giorno, su questo versante, la politica oscilla tra due miti: il decidere e l’ineluttabile. Vediamo molti politici decidere e spingere alla decisione, ma pochi politici scegliere. Infatti scegliere è molto diverso da decidere. Nella vita non conta fare, saper fare o saper far fare: in quello erano bravi anche Hitler e Stalin. Nella vita conta scegliere, saper scegliere e saper far scegliere. Conta quello che ogni giorno diventiamo attraverso le scelte che intraprendiamo. Il giudizio, infatti, è all’origine di ogni scelta ed educare al giudizio è l’operazione più importante per generare una “buona politica”. Per questo niente è ineluttabile, ma tutto deve essere giudicato e scelto.
Da alcuni decenni, in campo economico come in campo etico o sociale, ci stanno raccontando che la via al bene e al progresso sia una sola: quella che proviene dall’estero. Tutto ciò ha dei tratti inquietanti: i mezzi di comunicazione, infatti, ci spingono a ritenere progredito, evoluto o adeguato solo un certo modello di società, di economia o di stato, mentre invece la politica ha il compito di esplorare ed esaminare le infinite possibilità e prospettive che la realtà offre. Proprio per questo il terzo elemento di cui abbiamo drammaticamente bisogno oggi è la capacità di ascoltare, di entrare in contatto autentico con la società e con la vita.
In un passato troppo recente il giudizio politico nasceva o come applicazione dell’ideologia universale al caso particolare oppure come tentativo di inserire il caso particolare in una narrazione ideologica più ampia. In questo senso, in Italia, è sempre mancata una politica seriamente laica, capace cioè di ascoltare realmente i bisogni della gente. Come si fa a parlare di scuola se non si parla con i genitori o con gli insegnanti?
Come si fa a riformare la giustizia senza ascoltare gli avvocati, la magistratura o il personale del sistema giudiziario? Come si può parlare di eutanasia, famiglia o educazione senza andare a vedere chi soffre, chi cura, chi ama o chi educa? La politica non può essere né l’arte del buon senso né quella dell’applicazione di qualunque visione dello Stato e dell’economia alla società. La politica nasce dall’ascolto e dal raccordo dei bisogni concreti di chi vive e lavora. Altrimenti potremmo apparecchiare il sistema politico più appetitoso e idealizzante senza avere – alla tavola del nostro partitello – i commensali disposti a condividerlo e a promuoverlo. Non è per partigianeria che oso dire che i cristiani, allora, possono far molto per queste tre capacità di cui il nostro paese ha bisogno: essi, infatti, non hanno altro referente che la realtà e i bisogni che da essa sgorgano.
Troppe volte il cristianesimo, in politica, è stato usato come spunto o come manuale di dottrina da applicare alle strutture dello Stato. Esso, però, non è entrato nel mondo per manipolarlo o per conquistarlo: esso è entrato nel mondo per cambiare il nostro modo di guardare la realtà, provocandoci ad avere fiducia nella carne della vita senza adulterarla con le verità della nostra mente o del nostro desiderio, ma permettendole – semplicemente – di parlare e di sfidarci. A ben vedere quel che manca alla politica oggi non è un gruppo di potere nuovo o un’idea vincente: quello che manca alla politica oggi è un “Io” davvero libero, un “noi” realmente appassionato, un soggetto così attaccato a Cristo da essere quotidianamente, spregiudicatamente e fedelmente un soggetto laico. Questo è quello che il nostro paese sta cercando. E questo, forse, è quello che cerchiamo tutti i giorni per vivere autenticamente la nostra povera vita.