L’annuncio di Matteo Renzi: “C’è l’accordo sulla riforma del Senato”. Come sarà dunque la nuova conformazione di Palazzo Madama? In pochi e senza stipendio. Non più di 150 senatori (forse anche 120) non eletti dai cittadini, non pagati dallo Stato e senza il potere di voto circa la fiducia del governo. L’obbiettivo del segretario Pd è noto: trasformare il Senato della Repubblica in una Camera delle autonomie nella quale si siederebbero i governatori e i consiglieri locali (scelti tra sindaci e regioni). Ci dovrebbero essere, inoltre, 21 membri onorari. La bozza, modificata nelle ultime ore dal ministro Graziano Delrio e da Maria Elena Boschi (responsabile per le riforme della segreteria dem) verrà oggi sottoposta alla direzione del Partito Democratico ha l’ok di Forza Italia: Denis Verdini e Raffaele Fitto avrebbero infatti espresso il proprio benestare. A metà mese partirà la discussione in aula. Andiamo a vedere in cosa consiste questa “rivoluzione”.
Come già anticipato 120-150 (massimo) non eletti e, soprattutto, non pagati. La Camera delle Autonomia non duplicherà le funzioni della Camera dei Deputati. Coloro che si siederanno in aula – al posto degli attuali 315 senatori – saranno sindaci, consiglieri regionali e rappresentanti della società civile. Secondo un primo disegno (tarato sui 150 membri) dovrebbero esserci i 108 sindaci dei comuni capoluogo, i 21 presidenti delle regioni e altrettanti esponenti della società civile. Attenzione: la Camera delle Autonomie si riunirebbe una o due volte al mese: i membri non riceveranno alcuno stipendio, bensì un semplice rimborso spese. Dunque, niente indennità e vitalizi.
Cambiano totalmente le prerogative dei “nuovi senatori”. Innanzitutto, la Camera delle Autonomie non darà più la fiducia al governo e non voterà il bilancio. I membri prenderanno invece parte all’elezione del presidente della Repubblica, dei membri della Corte Costituzionale e dei rappresentanti degli organi europei. Si occuperanno in particolar modo della legislazione regionale e delle autonomie.
Oltre allo snellimento della macchina istituzionale (con l’abolizione del bicameralismo perfetto) e una riduzione dei tempi di approvazione delle leggi, i vantaggi sono anche economici con il taglio degli stipendi e delle indennità degli attuali senatori