I governi Monti e Letta? “Non sono stati un mio capriccio”. Le parole di Giorgio Napolitano arrivano da Strasburgo, dove il presidente della Repubblica ha incontrato gli europarlamentari italiani a 7 anni di distanza dal suo ultimo discorso in aula. Napolitano, oltre ad aver parlato degli ultimi due esecutivi, ha voluto porre l’accento anche sulla politica d’austerità europea affermando: “Non è perseguibile una politica di ulteriore rigore finanziario a tappe forzate. Serve una svolta, occorre un cambiamento di rotta”. E il cambiamento di rotta, oltre a cercarlo l’esecutivo guidato da Enrico Letta, lo cerca l’intera politica italiana. L’accordo Renzi-Berlusconi ha smosso le acque e secondo i sondaggi a trarne i maggiori benefici è (a sorpresa?) il Cavaliere. Magari in quelle due ore e mezza di colloquio al Nazareno i due leader si sono accordati anche per il successore di “Re Giorgio” al Colle. La lettura di Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.
“I governi Monti e Letta non sono stati un mio capriccio”. Giorgio Napolitano, da Strasburgo, si è difeso dalle critiche di chi lo accusa di aver imposto gli ultimi due premier.
Siccome spesso gli vengono attribuite queste due soluzioni politiche anomale, perché entrambe non frutto di una maggioranza elettorale uscita dalle urne, Giorgio Napolitano ha voluto semplicemente rammentare che il governo Monti fu il risultato di un disastro politico del governo Berlusconi. Qualcuno si ricorda che il ministero del Tesoro non firmava più i provvedimenti economici del governo?
Mentre l’esecutivo Letta?
È il frutto di un risultato elettorale “impossibile” che non consentiva la formazione di alcun governo. Insomma, in entrambi i casi – più che capricci del presidente – vi è stata una chiara necessità.
Il New York Times lo ha etichettato “Re Giorgio”. Soprannome calzante o improprio?
Evoca il fatto che in questi ultimi due-tre anni la politica italiana non è stata in grado di autogovernarsi con i sistemi tradizionali e tipici di ogni democrazia. Quindi il ruolo di Napolitano può aver fatto pensare a una sorta di monarchia elettiva, ma la trovo un’affermazione bonaria, senza alcun intento polemico. Ecco, in Italia viene utilizzata provocatoriamente, d’altra parte il Parlamento – un anno fa – era libero di eleggere un altro presidente della Repubblica, ma se non ci è riuscito la colpa non è certamente di Napolitano…
Sull’accordo Renzi-Berlusconi Napolitano non ha detto una parola. Come leggere il suo silenzio?
Beh, il presidente non deve mettere il becco sulle intese parlamentari. Il presidente, nel nostro ordinamento, non fa le leggi e tanto meno le corregge. L’unica funzione che gli viene riconosciuta nel processo legislativo è quella relativa a una preventiva verifica iniziale circa l’urgenza di quei decreti che necessitano la sua firma per entrare in vigore. Poi, sono circa quattro-cinque anni che Napolitano insiste sulla necessità di cambiare la legge elettorale: penso dunque che sia soddisfatto dell’accelerata compiuta.
Rimanendo sull’intesa tra il segretario Pd e il leader forzista, secondo lei, in quelle due ore e mezza al Nazareno, hanno parlato anche del prossimo inquilino del Quirinale? Prodi forse?
Mi sembra un po’ difficile. Innanzitutto perché si tratterebbe di un accordo alle spalle del presidente in carica. Ricordiamoci come lo stesso Napolitano abbia fatto capire l’intenzione di dimettersi una volta raggiunto il suo scopo, ovvero l’avvio di un processo di riforme costituzionali (oltre alle legge elettorale) che inaugurerebbe una fase nuova. C’è già tanta carne al fuoco, ne avessero messa dell’altra si sarebbe rischiato di far saltare tutto.
Oggi Napolitano ha parlato anche di austerity: “Non è perseguibile una politica di ulteriore rigore finanziario a tappe forzate. Serve una svolta, un cambiamento di rotta”.
Sono parole molto simili a quelle dette da Jürgen Habermas nel corso di un convegno del Partito Socialdemocratico tedesco (Spd, ndr): affrontare il problema del deficit di democraticità e di rappresentanza dell’Unione Europea e avviare una politica di solidarietà di bilancio che consenta a tutte i Paesi membri di procedere insieme dal punto di vista economico. È la vecchia questione della contestazione delle politiche tedesche che Napolitano ha sempre usato.
Tornando invece al patto del Nazareno, i sondaggi danno il centro-destra davanti al centro-sinistra e prossimo a superare la fatidica soglia del 37% per ottenere il premio di maggioranza. E se ci guadagnasse solo Berlusconi?
Premessa: penso che questa soglia sia troppo bassa per consegnare un premio del 15% e che il sistema della soglie sia tutto sbagliato. Un partito in coalizione porta i voti necessari al raggiungimento della soglia per il bonus, ma se non supera il 4,5% (previsto dalla bozza dell’Italicum) non entra in Parlamento e consegna i suoi voti alla forza maggiore. Ciò permetterebbe a una forza politica che prende il 25% di raddoppiare la sua forza elettorale. Questa è una cosa palesemente in contraddizione con la sentenza della Consulta che ha parlato di premio ragionevole e commisurato…
In attesa delle eventuali modifiche, Berlusconi parte dunque favorito?
Secondo me non vi è alcun dubbio che il centro-destra di Berlusconi abbia una maggiore capacità “coalizionale”. Nel centro-sinistra il Partito democratico avrebbe come possibile alleato solo Sinistra Ecologia e Libertà: è chiaro che somma meno voti. E sappiamo bene che in Italia il centro-destra è in maggioranza nel Paese. Però…
Però?
È anche vero che Renzi può ragionevolmente ritenere che in una sfida a due con il candidato del centro-destra, la spinta data dal suo nome e appeal elettorale possa essere così forte da superare questo handicap della sinistra. Ma affinché questo accada sarebbe necessario che si sciogliesse il voto grillino, ma non mi pare affatto che si stia sciogliendo. O Renzi sfonda nell’elettorato M5S, o è molto probabile che la vittoria elettorale vada a Berlusconi.
A maggio ci sono le Europee. Saranno una cartina di tornasole affidabile per delineare i rapporti di forza tra i partiti?
Secondo me no, in quanto prevedo che andrà a votare meno della metà degli italiani, mentre alle Politiche – nella peggiore delle ipotesi – vota il 70%. Quando si vota per chi ci governa, per chi decide delle nostre tasse l’attenzione e l’affluenza sono maggiori. Sarà dunque un test non così corrispondente agli orientamenti reali del Paese. Le Europee potrebbero però avere conseguenze politiche: una vittoria di Grillo, un risultato sotto le aspettative di Renzi e la ripresa di Forza Italia potrebbero spingere i partiti a rivedere le proprie strategie.
(Fabio Franchini)