Gli antichi Greci erano soliti accostare la politica all’interesse per la vita in comune e alla pratica sportiva. Non mi sembra affatto che si tratti di una semplice metafora, di un orpello retorico che renderebbe pesante la nostra comunicazione politica “contemporanea”. Con quest’accostamento classico s’intende dire che c’è qualcosa all’interno della politica che non può risolversi da un mero calcolo formale o ridotto ad una serie di leggi stabilite una volta per tutte ed applicate con rigore. Cosa resta al di là del calcolo? Rimane uno spazio pratico, come nel caso dello sport, nel quale siamo chiamati a “dare qualcosa in più”. In altri termini, a dare qualcosa in più rispetto a ciò che già abbiamo realizzato, alla situazione in cui ci troviamo. Il che vuol dire che ci viene chiesto di inventare qualcosa, di creare modalità e stili dello stare insieme, di dare vita ad idee ed esperienze capaci di produrre una comprensione dello spazio politico ed una sua apertura al rinnovamento.



Tutto ciò richiede di essere buoni sportivi, ottimi ostacolisti: di non fermarsi all’applicazione di contenuti appresi, ma di spingersi alla formazione di nuovi contenuti, per i quali impegnarsi concretamente. Concluderei questa prima riflessione con una citazione che mi sembra suggellare ciò di cui parlo: “Amare è dare ciò che non si ha” (J. Lacan, Séminaire VII). Amare, e la politica è una pratica che richiede amore per i valori che si esprimono, è creare qualcosa di nuovo da uno stato di cose, che sembrava immodificabile o arido di possibilità. Nel tempo della crisi (per usare una categoria fin troppo sfruttata) una formula come questa, acquisisce tutta la sua portata: fare politica è dare ciò che non abbiamo, ovvero ciò che siamo in grado di creare. Qui entra in gioco un binomio capace di solleticare sensibilità assopite: esiste un’Etica nella Politica? Si può fare politica con Etica? Il termine Etica, nella sua differenza da morale, è un insieme di precetti già stabiliti che si tratterebbe di insegnare e di applicare. L’etica sarebbe, di nuovo, capacità di creare valori che siano in grado di incidere sul presente e di coinvolgere l’energia e l’impegno di coloro che vi credono e vi scommettono.



In questo senso l’aspetto democratico coincide con la capacità di non arroccarsi su pregiudizi morali, ma di aprirsi all’arte creativa che è l’etica. Il vero cambiamento non può quindi essere rappresentato solo dal fare, per fare occorre prima di tutto saper fare, e prima ancora innovare qualcosa che sa di vetusto, di ferraginoso, di rallentato. Oggi dobbiamo andare avanti spediti e anticipare le congiunture, investire e disinvestire con una visione globale e non parcellizzata . E’ il momento di rischiare e di giocare la partita del rinnovamento partendo non dalle modifiche di quello che già c’è, creando invece un’alternativa seria, democratica, competitiva e risolutiva.



 

(Daniele Salvaggio)