Renzi stringe sull’Italicum. Il presidente del consiglio ha riunito i deputati Pd convocando un’assemblea in vista del voto finale alla Camera in cui ha detto di non poter accettare che l’ostacolo sulla strada dell’approvazione della legge elettorale sia il Pd stesso, oltre ad avvertire: “Non c’è da mantenere un patto con Berlusconi, ma un impegno che abbiamo preso come partito”. Dopo la bagarre sulle quote rosa e sulle preferenze (bocciate), è arrivato il no anche alle primarie obbligatorie (emendamento prevedeva la parità di genere nell’organizzazione delle primarie dei vari partiti). I mal di pancia dei parlamentari dem si fanno sentire, ma al momento l’ossatura dell’Italicum tiene, in attesa che il testo passi al Senato. Nel frattempo, l’onorevole democratico Maino Marchi si è dimesso da capogruppo della commissione bilancio in dissenso con Renzi. Ecco il perché del suo gesto e la sua posizione “di minoranza”.



Nel corso dell’assemblea convocata da Renzi, per serrare le fila in vista del voto sull’Italicum, insieme alle donne, ha espresso il suo disagio e si dimesso da capogruppo della commissione bilancio.

Non mi sono dimesso solo perché non è passata la norma sulla parità di genere – sulla quale, tra l’altro, c’era libertà di voto, cosa che non andava quindi a interferire sui vari accordi –, ma anche in quanto non condivido la matrice culturale della linea di Matteo Renzi, oltre alle modalità con le quali è avvenuto il cambio di governo. Ho quindi ritenuto di non poter rimanere nel gruppo con responsabilità che vadano oltre a quelle di soldato semplice; siccome il capogruppo in commissione bilancio è di grande responsabilità (perché vi passano tutti i provvedimenti dell’esecutivo che vanno in aula e i decreti che legislativi che non vi vanno) o si è convinti della linea che si sta portando avanti, altrimenti non si può ricoprire tale carica.



Non si sente sulla stessa lunghezza d’onda del segretario del suo partito nonché premier.

Non ho mai condiviso la sua linea, e non la condiviso neanche adesso. Sono una minoranza, ma son sempre nel Pd, tant’è vero che la legge la voto.

E appunto non sono pochi i mal di pancia interni al Pd per come stanno andando le cose circa, anche, l’iter dell’Italicum. L’asse Renzi-Berlusconi tiene…

Sì, ma tiene anche lo stesso Pd. Al momento c’è una tenuta su tutti gli emendamenti, anche a voto segreto, quindi immagino che continuerà. C’è stato un voto della direzione del Pd: siamo tenuti a votare la legge.



Renzi ha detto: “Non c’è da mantenere un patto con Berlusconi, ma un impegno che abbiamo preso come partito”. Sembra però che la volontà di rispettare gli accordi presi sia cosa più importante della coesione interna.

Un tema come quello delle “quote rosa” non si risolve con le decisioni interne ai singoli partiti: è una questione costituzionale. Questa è la seconda legge che viene fatta senza rispettare l’articolo 51. È una cosa molto grave.

 

Quali conseguenze possono scaturire da questi contrasti tra le varie anime del Pd?

 In un partito ci si sta anche in minoranza, con la regola che le decisioni della maggioranza si rispettano nelle sedi istituzionali. Io mi sono ritirato dalle mie responsabilità personali, ma siamo una squadra che opera come tale in Parlamento.

 

Circa un mese fa dichiarò che l’Italicum rischiava di essere un Forza Italicum. Le sue obiezioni puntavano soprattutto il dito contro il decreto “Salva Lega”, che poi comunque non c’è stato. La pensa ancora così?

Su questo piano no, non essendoci più l’emendamento Salva-Lega (che era stato annunciato). Sembrava infatti che tutti gli alleati di Forza Italia avessero la possibilità di entrare, mentre quelli del Pd no.

 

Il presidente del Consiglio ha comunque prospettato che in Senato si potrà cambiare qualcosa, “quote rosa” e altro…

Io non vedo come sia possibile in un ramo del Parlamento dove il Partito Democratico è molto più debole rispetto a dove ha la maggioranza quasi da solo. Se poi succede dove siamo più deboli, politicamente, non sarebbe neanche una bella figura. Comunque, mi sembra pressoché impossibile. Se succederà ne prenderò atto, ma fino a quel momento sarò molto scettico.

 

Pierluigi Bersani incalza: “L’Italicum va cambiato. Berlusconi se ne farà una ragione”.

C’è poco da dire: sono pienamente d’accordo. Si deve lavorare, ma senza strappi.

 

L’ex segretario è tornato anche sul celebre incontro tra Renzi e Berlusconi al Nazareno dicendo che lui non lo avrebbe mai fatto. E ha poi aggiunto che Renzi fa “movida”, alzando le aspettative.

Sono convinto che Bersani non avrebbe fatto quel colloquio e che avrebbe bensì incontrato in modo paritario tutte le forze politiche. Per quanto riguarda la “movida”, ci sono altissime aspettative, molto più alte di quelle del governo Letta. Io spero che vi siano risposte e soluzioni concrete: lo vedremo alla prova dei fatti. Ma…

 

Ma?

Per quel che io conosco circa la situazione della finanza pubblica, mi permetto di essere abbastanza scettico. Esprimerò il mio giudizio non solo quando si dirà dove andare a mettere i soldi, ma anche dove si andranno a prendere.

 

Per chiudere torniamo sui mugugni interni al Pd. Per una parte del partito si tratta di un (ennesimo) boccone amaro da mandare giù. Il rischio scissione è concreto?

C’è piuttosto il rischio – che si sta già materializzando – di un abbandono del volontariato nelle feste, del tesseramento e dell’allontanamento silenziose di un parte di iscritti, simpatizzanti ed elettori. E di questo bisogna preoccuparsi eccome, ma non penso comunque che vi siano orizzonti di scissione.

 

(Fabio Franchini)