Nel giorno in cui Renzi presenta ufficialmente la sua agenda per riformare l’Italia e farle cambiare verso, al grido di “la svolta buona”, Piero Ostellino, ex direttore del Corriere della Sera, di cui oggi è editorialista, dice che per riformare lo Stato bisognerebbe che lo Stato ci fosse. E questo non è il caso italiano, un Paese fatto da “tanti enti e istituzioni in conflitto tra loro, ognuna delle quali persegue i propri interessi” e imbrigliato dalle reti di una Pubblica Amministrazione che paralizza completamente una già farraginosa macchina statale.



È arrivata la tanto attesa rivoluzione liberale firmata, questa volta, Matteo Renzi?

A me sembra che Renzi sia molto argomentativo e sicuro di sé, ma di paragoni con il passato non li farei. “Rivoluzione liberale” è un’espressione forte: Berlusconi l’ha promessa e poi non l’ha mai fatta: si è occupato dei suoi problemi e interessi. Ora accontentiamoci di avere un governo che cerchi di fare le cose.



Ma secondo lei questo piano economico farà cambiare verso all’Italia?

L’Italia, e la sua classe politica, promette sempre di cambiare poi però ci sono i decreti attuativi scritti dalla Pubblica amministrazione che stravolgono tutto, cambiando le carte in tavola. Siamo un Paese prigioniero del dispotismo burocratico, che comanda persino sulla politica, facendo il bello e il cattivo tempo. O la politica si decidere per davvero a cambiare la natura dello Stato, oppure continuerà a essere prigioniera.

Renzi non sarà in grado di togliere al Paese questa camicia di forza?

Vediamo un po’ che succede, sarà la prova dei fatti a dirlo.



Il presidente del Consiglio non si fa dettare la linea né dai sindacati né da Confindustria, si pone al di fuori di questi due blocchi.

Renzi, semmai, mi sembra che tenga conto un po’ di tutto, cercando di restare in equilibrio tra le diverse posizioni, che è poi quello che fa ogni premier. Non possiamo pretendere che tutti siano d’accordo su quello che fa il governo e allo stesso tempo non possiamo pretendere che il governo si assoggetti a chi non è d’accordo. Siamo in democrazia, che è fatta di conflittualità, dialettica  contrapposizioni e tentativi di mediazione. Ecco, stiamo a vedere se questi tentativi di mediazione che ha promesso funzioneranno o meno.

Pensa che l’asse Renzi-Berlusconi nato sull’Italicum possa allargarsi e ripetersi in futuro?

Berlusconi conferisce a Renzi quell’appoggio politico che gli consente di andare avanti, come si è visto appunto in tema di riforma della legge elettorale. Mentre all’interno al Pd vi sono delle divisioni profonde e degli antagonisti, all’esterno Forza Italia gli garantisce stabilità. Bisognerebbe entrare nella testa di Berlusconi e vedere quali sono le sue reali intenzioni…

Ma lei lo voterebbe Renzi?

Io non voto da trent’anni: non credo in questo Stato, che è nato sbagliato alla fine della seconda guerra mondiale. È uno stato fondamentalmente non liberale nei confronti del quale io esprimo tutte le diffidenze di un liberale.

 

È ottimista o pessimista ?

Nessuno dei due. Nel Paese in cui viviamo qualsiasi governo ha delle difficoltà a sopravvivere al dispotismo burocratico perché la pubblica amministrazione ha una forza che non dovrebbe avere. Ecco, quando si dice che Renzi vuole riformare lo Stato bisognerebbe che lo Stato ci fosse. Ma qui non c’è. De Gaulle lo ha fatto in Francia, perché lì lo Stato c’era. Da noi, invece, ci sono tanti enti e istituzioni in conflitto tra loro, ognuna delle quali persegue i propri interessi.

 

Renzi è destinato a un fallimento quindi?

No, questo no. Dico che incontrerà molte difficoltà perché nel momento in cui proporrà qualche cosa che deve essere realizzato attraverso i decreti attuativi, la Pubblica Amministrazione metterà degli ostacoli a questa realizzazione. Siamo un Paese con una pessima Pa che costa molto e non fa quello che dovrebbe fare. Bisognerebbe dare una bella e sana tagliata a centinaia di migliaia di persone che non fanno niente, spendendo i soldi dello Stato. L’Italia è ha ancora un’ossatura amministrativa fascista sulla quale si è innestata una cultura comunista che ha combinato tutti questi guai.

 

(Fabio Franchini)