Che questo non sia un governo del presidente lo si è capito subito. Matteo Renzi ha voluto riportare a Palazzo Chigi il baricentro della vita politica italiana, dopo che questo si era spostato verso il Quirinale. I governi Monti e Letta recavano la firma del Colle, che manca però aull’esecutivo Renzi, sulla durata del quale – come ben ricordiamo – il capo dello Stato ha detto di non mettere la mano sul fuoco. Che ruolo sta ricoprendo in questo momento Giorgio Napolitano? Si sta forse preparando alle dimissioni? Lo abbiamo chiesto a Lanfranco Turci, cresciuto nell’ala migliorista del Partito comunista italiano.
Alle voci che vogliono le dimissioni di Napolitano, a legge elettorale approvata, si somma quella autorevole di Emanuele Macaluso, che ben conosce il capo dello Stato. Lei crede che sia uno scenario probabile?
Io penso che questa valutazione abbia fondamento. Napolitano ha legato il rinnovo del suo mandato al tema delle riforme istituzionali. Però…
Però?
Faccio notare che la riforma della legge elettorale, senza quella del Senato, è monca. Quindi, verosimilmente, Napolitano vorrà vedere come andrà a finire anche il capitolo relativo al Senato e al Titolo V, che vanno a braccetto. Poi pongo questa questione: se l’Italicum viene approvato così come è uscito dalla Camera è palesemente incostituzionale. In sostanza, ripercorre i temi censurati dalla Consulta circa il Porcellum.
Se non dopo la legge elettorale, dopo la revisione del Bicameralismo perfetto dunque.
Sì, potrebbe ritenere esaurito l’impegno preso con la sua rielezione, ma continuo a pensare che il presidente della Repubblica farà fatica a non valutare la tenuta costituzionale di questa legge elettorale che si sta approvando.
Ora Napolitano è un po’ in ombra, dietro le quinte. Che momento è per lui?
E’ palese che Napolitano, in questo momento, sia molto più defilato rispetto ai governi Monti e Letta. Tutti ci ricordiamo la sua battuta, dopo che Renzi ricevette l’incarico, in cui disse – rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano lumi circa la tenuta del neonato esecutivo – che la mano sul fuoco non ce la metteva. Nei governi Monti e Letta, a differenza di questo, traspariva un impegno di tutela circa il loro operato.
E i rapporti con Renzi non sono idilliaci.
La lontananza di stile tra Renzi e Napolitano è abissale. Renzi, nel bene o nel male, ha portato una carica quasi “sacrilega” rispetto agli stili consolidati dalla precedente politica e a quelli che piacciono al presidente della Repubblica. Ciò detto, però, non ne dedurrei per forza di cose che Napolitano sia dissenziente rispetto alle scelte politiche del premier.
L’essere meno presente gli giova?
Io penso l’ultima cosa a cui pensi Napolitano sia se essere in disparte rispetto al passato gli faccia comodo o meno. Credo che, di fronte a questo scenario, avverta come necessario che questo esecutivo faccia il suo corso. Questa è la sua linea.
Napolitano si sta preparando, lentamente, a uscire di scena o pensa che possa riprendere in mano le redini dell’azione politica?
Certo, questa sua posizione può essere interpretata come un inizio d’addio, ma torno a porre la questione di prima: se la legge elettorale – presentata da Renzi come scalpo della sua vittoria – è questa, siamo sicuri che (pur non essendo la Corte costituzionale) Napolitano non avrà niente da obiettare?
E gesti forti all’orizzonte?
Non credo, a meno che non vi fosse un incidente politico tale che faccia crollare il governo Renzi, cosa che però al momento non mi pare possibile. L’esecutivo può andare in crisi solo se ci fosse – al Senato – la capacità di buona parte del Partito democratico, di fazioni del Nuovo centrodestra e dell’opposizione, di porre una sorte di veto sulle soglie di sbarramento (sia quelle di ingresso che quella per accaparrarsi il premio di maggioranza). Se ciò si verificasse potrebbe anche saltare l’accordo con Berlusconi con tanto di terremoto politico, che porterebbe Napolitano ad assumere un ruolo più interventista. Altrimenti, è alquanto improbabile.
(Fabio Franchini)