C’è vita (politica) fuori dai pianeti Renzi , Berlusconi e Grillo?Ed è un bene per il Paese che, di qui a poco, non esistano altre forme di vita al di fuori dei Berluscoidi, dei Renzoidi e degli abitanti di Gaia, quando l’armageddon del nuovo sistema elettorale sterminerà gli Alfanoidi, i Mauroidi, i Passeroidi e le altre creature eccentriche al disegno bipartitico? Tali domande presuppongono un minimo di ricognizione dell’esistente visto che l’Italicum ha proprio la funzione di “congelarlo” così com’è. E siccome un congelatore non è ne buono ne cattivo, dipende da cosa ci sta dentro, è opportuno aprire la porta del frigo.
Dentro in effetti ci sono un po’ di cose strane. Secondo un lucido editoriale di Michele Salvati, non siamo in un regime di “partito unico” ma di “unico partito” , il Pd. Il resto è sostanzialmente fuori dalla fisiologia dei sistemi occidentali e certamente lontano da quell’art. 49 della Costituzione che, rimasto inattuato, continua velleitariamente a recitare che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Incompatibili con il principio di democrazia sono, all’evidenza, le scorciatoie “virtuali” e non sottoposte a regole controllabili sui meccanismi di formazioni delle maggioranze, dei grillini. Come partiti che non hanno mai celebrato un congresso e i cui processi decisionali sono riconducibili a una persona, Silvio Berlusconi. In ogni caso, laddove la linea politica non è sottoposta a un controllo (a posteriori) dal basso e regolato e, soprattutto, laddove è esclusa, in radice, la contendibilità dei vertici, non si dovrebbe a rigore parlare di partiti nell’accezione comune alle carte europee e alle convenzioni internazionali .
Al di là comunque dell’anomalia stellata, quella che più dovrebbe porre interrogativi sulla sua perpetuazione,in quanto direttamente incidente sulla qualità del funzionamento del meccanismo dell’alternanza, è quella incarnata da Forza Italia. Un partito per definizione non “scalabile” dall’interno e a cui la nuova legge elettorale assicura il ruolo di esclusiva seconda gamba su cui la terza repubblica dovrebbe camminare. Senonché, come è noto, la prima gamba, il Pd, si è rinnovata, democraticamente, nelle plateali forme del renzismo, mentre, è altrettanto noto, che la seconda è sostanzialmente rimasta con gli orologi fermi a vent’anni fa. Allora, “l’anomalia” Berlusconi era stata accettata dal blocco sociale che ha votato in massa Forza Italia, in nome di un cambio radicale di passo del Paese, una cesura con il passato che, con scorciatoia linguistica, fu definita “rivoluzione liberale”. Quella scolpita nella promessa delle due aliquote fiscali che oggi forse pochi ricordano. Trascorso il ventennio, con 8 degli ultimi 13 in cui il circuito cardio-istituzionale del Paese e la percezione all’estero dell’Italia ha subito molteplici infarti, il paese si trova con la medesima “anomalia” e un pugno di mosche. In attesa della stagione delle nuove promesse.
La domanda di cui sopra dovrà allora essere declinata nella più puntuale domanda del se, un sistema che fotografa l’esistente e blocca con soglie improponibili a iniziative nascenti la possibilità di superare e rompere gli equilibri descritti, sia auspicabile. Senonché tali domande, “in vitro”, in politica lasciano il tempo che trovano. Nel recente rapporto di Fitch sull’Italia, che ha confermato l’outlook negativo con rating BBB+, si legge che in cima alle riforme che potrebbero far rivedere tale giudizio, prima del Jobs Act, prima di quella del fisco, sta la legge elettorale. Vi è cioè, nell’ottica dell’analisi marxista della “struttura” (l’economia oggi sovrapponibile ai mercati) che determina la “sovrastuttura” (la politica), una fortissima pressione perché il Paese si doti di un sistema di governance politica che assicuri, a ogni costo, quale bene primario, stabilità (e riforme di lungo periodo che presuppongono la prima). Non è dissimile l’auspicio dalle parti delle cancellerie europee.
L’Italicum è dunque “benedetto da molto lontano” e ha una significativa forza di trazione, originata dallo speculare interesse delle due forze maggiori a non far nascere alcun filo d’erba, il Pd alla sua sinistra, e Forza Italia nel seno del suo elettorato. Non a caso, le vere pietre angolari del nuovo sistema di voto (più delle liste bloccate), sono le due soglie dell’8% e del 12% (per i partiti non coalizzati) definite da Roberto D’alimonte (lo “zio” se non il padre dell’Italicum come ha egli stesso dichiarato) “irragionevoli” e “complicate”. Se cedono queste viene giù tutto, per il semplice motivo che da una parte Renzi vede all’orizzonte una Tsipras “de noartri”, oggi accreditata per le prossime europee già sopra il 6%. Dall’altra Berlusconi, con quella soglia, si gioca molto della sua sopravvivenza in politica. Se veramente nascesse un nuovo partito a vocazione maggioritaria, alternativo al centro-sinistra e che decida di non allearsi con Forza Italia, non sarebbero in gioco solo le prossime elezioni. Sarebbe in gioco, nel medio periodo, la destrutturazione del centrodestra degli ultimi vent’anni con effetti slavina, per un partito sovrapponibile al suo leader di quasi 80 anni e di cui si rincorrono voci di successione “interna” nei tempi dati, difficilmente prevedibili. È bene pertanto che gli Alfanoidi, i Mauroidi, i Passeroidi e gli altri non si facciano soverchie illusioni al Senato sulle dette soglie. Lì l’italicum o passa così (salvo limature insignificanti), grazie al voto palese, o va in frantumi. Insieme al poco di credibilità restante al sistema politico.
Dunque il paesaggio politico italiano, post italicum, sembra già disegnato. E tuttavia ciò non dovrebbe costituire un lavacro alle responsabilità di coloro che lo subiscono passivamente nell’attesa di morire berlusconiani (Casini) o socialdemocratici (quello che resta di Scelta Civica), o morire e basta esercitandosi nel piccolo cabotaggio politico, la via più breve all’estinzione (altri). Se non si è capaci di mettere in piedi un progetto che serva al Paese d’altronde è meglio così. Solo un progetto di grande respiro, che superi i limiti delle singole iniziative, incardinato nell’alveo del popolarismo europeo, ma che in questa fase di radicale rigetto della politica tradizionale si immerga nel meglio della società italiana, e si liberi di una immagine di partito che nasce vecchio, da materiale di risulta dell’esistente, o peggio, con venature necrofile che puntano a improbabili palingenesi democristiane, avrà speranza di vita. Almeno nel lungo periodo. Ma rinnovare dalle fondamenta l’altra metà del cielo politico, superando la forma del partito azienda, fare evolvere l’intero assetto dell’alternanza verso più mature configurazioni europee, liberare forze e idee fresche in un nuovo contenitore democratico, non è forse interesse strutturale del Paese?