E poi all’improvviso scopri che è solo (o quasi) questione di volontà. Volontà politica, beninteso, quella che se non ce l’hai è difficile cercarla. L’ammissione di Franco Bassanini appartiene alla categoria di quegli squarci di verità che contribuiscono a far rileggere eventi sotto un’altra luce. Dire che Letta fu bloccato da strutture del ministero dell’Economia sulla strada del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione equivale a dire che oggi quelle stesse forze che frenavano non lo fanno più. Oppure non possono più farlo.
È cambiato il governo, è cambiato il clima. Adesso la burocrazia non ha più il timore che possa emergere nuovo debito sgradito all’Europa. Adesso l’indicazione è che si può correre questo rischio senza paura. Affermarlo alla vigilia dell’incontro fra il neo-premier Renzi e l’arcigna Angela Merkel vale doppio. Trasmette netta la sensazione che – parole di Renzi al Tg5 – “l’Italia non ci sta a finire dietro la lavagna”.
Parole di orgoglio quelle del premier che, dopo Parigi, vola a Berlino, consapevole di giocarsi molto nell’esame che lo attende alla Cancelleria. Sa bene che la Merkel lo sta studiando e che non si accontenterà di bei proclami. E neppure di azzeccate slides con i pesciolini rossi. Nell’acquario della custode del rigore europeo nuota solo la certezza sul bilancio, senza sbandamenti. Il giovane ex sindaco di Firenze, che lei stessa aveva voluto conoscere nel luglio scorso, adesso è diventato premier, il quarto primo ministro italiano che varca la soglia del suo ufficio nel breve volgere di due anni e mezzo.
Monti e Letta come primo atto di politica internazionale resero omaggio proprio allo strapotere tedesco. Renzi no, lui è diverso, e arriva a Berlino dopo aver toccato Tunisi, Parigi e Bruxelles. Anche in questa maniera si vuole rendere evidente una cesura con il passato, si vuole trasmettere l’idea che è possibile, anzi necessaria, un’altra Europa, che allenti quel cappio del rigore che ha quasi strangolato non solo l’economia italiana, ma anche quella degli altri paesi mediterranei. Basti ricordare Grecia, Spagna e Portogallo.
L’impresa di ribaltare tutti i luoghi comuni accumulatisi intorno all’Italia si presenta improba: alla cancelliera dovrà dimostrare che le slides sono trasformabili in riforme e le riforme possono funzionare senza sconquassare i conti pubblici. Anzi, che le riforme possono generare crescita e mettere il nostro paese nella condizione auspicata dal premier di essere guida dell’Europa, e non vagone di coda che arranca.
Sono sempre le parole di Bassanini a indicare che la via è stretta e impervia: la via di sfruttare per il rilancio il margine fra il deficit previsto e il 3% imposto dall’Europa è insufficiente per coprire il fabbisogno necessario a finanziare le misure economiche annunciate da Renzi.
Il premier tutto questo lo sa, e sta cercando di irrobustire le coperture insieme a Padoan e Cottarelli, prima che i provvedimenti in cantiere vedano la luce. È più concreta, tanto per fare un esempio, l’ipotesi di risparmiare tre miliardi in un triennio sul bilancio della difesa, comprando qualche F35 meno del previsto.
Pur essendo perfettamente consapevole delle difficoltà, Renzi conta di ottenere un via libera dalla Merkel alla sua scossa all’economia italiana. Per convincere i tedeschi si porterà sei ministri e una delegazione di imprenditori guidata da Squinzi. Se sono state deluse dal modesto taglio dell’Irap (strappato a fatica da Alfano), le aziende incasseranno appunto il pagamento dei debiti arretrati delle pubbliche amministrazioni entro la fine dell’estate.
Il mix è chiaro: ai lavoratori più soldi in busta paga, alle imprese gli arretrati dovuti dallo Stato. Se questo basterà a far ripartire i consumi interni e – di conseguenza – produzione industriale e occupazione rimane tutto da dimostrare. Questa è la scommessa del premier. Se dovesse funzionare sarebbe la sua consacrazione. Se però il piano non decollasse, allora si salderebbe contro di lui un fronte trasversale che vedrebbe insieme tanto i sindacati quanto gli imprenditori. E questo renderebbe al governo di sicuro la vita difficile anche in parlamento. La scommessa, in quel momento, sarebbe persa, con o senza la Merkel.