Incassata la fiducia di Camera e Senato, ora l’esecutivo più giovane della storia repubblicana si trova ad affrontare la difficile sfida di fare effettivamente le riforme annunciate. Se ce la farà, il successo elettorale di Renzi sarà cosa pressoché certa, altrimenti sarà difficile che gli italiani gli consegnino il Paese.  Per misurare gli orientamenti dell’opinione pubblica abbiamo contattato Alessandro Amadori, presidente di Coesis research.



Dopo i discorsi alle Camere, la popolarità di Matteo Renzi è salita o scesa?

È rimasta sostanzialmente stabile con una lieve tendenza al rialzo. Attualmente la fiducia verso il presidente Renzi è intorno al 53%, che è un livello piuttosto elevato.

Quali punti del suo programma hanno maggiore presa sull’elettorato e quali invece possono essere deleteri in tal senso?



Non farei un discorso del genere. Ciò che contribuisce a costruire fiducia e apprezzamento nei confronti di Renzi è, altresì, il suo atteggiamento. Il premier, consapevole di questo, ha accuratamente evitato di parlare realmente di punti. Non è quindi un caso che Renzi, fine comunicatore, abbia trascurato (se non enunciandone solamente i titoli) gli elementi programmatici.

Ma l’agenda che ha presentato è compatibile con le aspettative dell’elettorato?

Apparentemente compatibile. Il tema del lavoro, tra tutti, è quello che maggiormente interessa i cittadini. La legge elettorale e le riforme costituzionali, al contrario, importano molto meno. Lo stesso argomento del cuneo fiscale è un tecnicismo che solo una piccola parte della popolazione italiana comprende veramente nei concreti meccanismi di funzionamento. Renzi si muove sempre su due piani, uno interno al palazzo e uno rivolto alla gente comune. Abbiamo il piano delle cose che interessano ai cittadini e quello relativo alla comunicazione con i suoi alleati e competitor.



Sarà un governo del fare e fortemente riformista (come viene presentato), oppure un governo del consenso?

A oggi, nella percezione collettiva dell’opinione pubblica sarà un governo del fare. Renzi ha rimesso in moto lo stesso meccanismo psicologico attivato molto bene da Berlusconi nel 1994: il buon governo, l’essere concreti e così via.

A proposito di Belrusconi, Forza Italia quanto vale?

Forza Italia si è stabilizzata intorno a un 24-25%. Un valore che non è certo male, tenuto poi conto che ha vari partiti con cui si può alleare: da Fratelli d’Italia all’Udc (che è tornato nell’alveo del centro-destra berlusconiano). Insomma, sommando i voti di FI e delle altre forze di quest’area, il centro-destra – per lo meno nelle intenzioni di voto – se la gioca pressoché alla pari con il centro-sinistra. Di questo c’è anche una conferma.

A cosa si riferisce? 

Ad un test elettorale importante come le elezioni regionali in Sardegna. È vero che ha vinto Francesco Pigliaru, candidato del centro-sinistra, ma la lista di centro-destra a sostegno di Mauro Pili – che ha preso più del 5% –, con la sua fuoriuscita, ha sottratto questi voti a Ugo Cappellacci, che altrimenti avrebbe vinto. In ogni caso, considerando la somma delle liste e dunque analizzando il voto di appartenenza, il centro-destra ha preso più preferenze del centro-sinistra.

 

E il Pd di Renzi quanto vale?

Intorno al 31%, ma il Partito democratico ha il problema di trovare gli alleati. Il Pd rischia di perdere contro un “Ulivo” di centro-destra. Mi spiego: oggi la situazione è rovesciata rispetto a quella del 2006. All’epoca c’era una grande ed eterogenea alleanza di centro-sinistra che si contrapponeva a una gigantesca Forza Italia. Oggi, invece, è il contrario: il Pd è nettamente il primo partito (ma è fondamentalmente da solo), che si deve guardare dalla somma complessiva raccolta dal bacino del centro-destra.

 

E Grillo? Le ultime vicende hanno forse indebolito il M5S?

Non appare in calo, rimane sul 20%. Questo perché c’è un livello ormai fisiologico di antipatia verso la politica ufficiale.

 

Come sta il Nuovo Centrodestra?

È piccolino, ed è al pelo con la soglia del 4%.

 

Infine, cosa pensano gli italiani di Giorgio Napolitano?

I livelli di fiducia verso il presidente Napolitano sono andati costantemente scendendo nel corso dell’ultimo anno. La curva è in calo. Rimane ovviamente una figura molto apprezzata e stimata (com’è sempre stato il presidente della Repubblica nel nostro Paese) però effettivamente è come se si percepisse un po’ di stanchezza nell’opinione pubblica. Ha forse esercitato un ruolo troppo forte per troppo tempo e questo lo ha un po’ usurato.

 

(Fabio Franchini)