Si preannuncia una settimana complicata per le riforme, col rischio di un ingorgo in Senato. Vi approdano infatti il ddl di riforma costituzionale del Senato e del Titolo V, e la legge elettorale. Senza un accordo politico l’impeto riformatore di Matteo Renzi potrebbe subire una brusca battuta d’arresto. Per Nicolò Zanon, costituzionalista e membro del Csm, lo snellimento del lavoro legislativo è una cosa positiva, lo è di meno il resto. Anche la legge elettorale non è immune da difetti: occorrerebbe ridare ai cittadini la facoltà di scelta.
Professore, come giudica la riforma del Senato?
Un conto sono gli annunci, un altro è darvi seguito. Sarebbe meglio essere chiari fin da subito su cosa si vuol far fare a questa seconda Camera, che cambia pure la sua denominazione tradizionale.
Innanzitutto sarebbe più facile fare le leggi. Non è poco.
Finché si tratta di ottenere una semplificazione del processo legislativo, è un bene, perché uno dei grossi problemi che hanno afflitto la tentata riforma del bicameralismo è stato proprio questo: progetti nati con l’obiettivo di semplificare, finivano per complicare di molto le cose, compreso il cammino delle leggi.
Le leggi ordinarie non sarebbero più bicamerali, al tempo stesso però le leggi costituzionali sarebbero ancora di competenza di entrambe le camere… e poi c’è il nodo dei 21 membri di nomina presidenziale a far discutere.
Guardi, può avere un senso che le leggi di revisione costituzionale restino bicamerali: alla revisione costituzionale partecipano di solito sia la camera politica che la camera di rappresentanza territoriale. Quei 21 membri invece assomigliano alla proiezione allargata di ciò che prevede la nostra Costituzione con i senatori nominati dal presidente della Repubblica, ma…
Ma?
Mentre l’istituto degli attuali senatori ha una sua razionalità (cinque senatori nominati per altissimi meriti, dunque grandi personalità che dovrebbero unire il popolo italiano perché non discendono da una competizione elettorale), 21 membri così nominati in una Assemblea delle autonomie che cosa ci stanno a fare? E non è tutto…
Vada avanti, professore.
Sulla futura camera aleggia uno spettro che definirei dopoloavoristico: personaggi che fanno altro – sindaci, presidenti di regione, eccetera – vi si ritrovano con compiti che non sono retribuiti.
Renzi è stato accusato di improvvisazione. L’impianto della nuova camera non le sembra ciò che rimane di una volontà di riforma più radicale (l’abolizione) che strada facendo ha rinunciato al suo obiettivo?
Un po’ è anche questo, ma c’è soprattutto una altro grosso problema. Non abbiamo fatto il Senato delle autonomie territoriali quando andava fatto, e cioè nel 2001, quando il centrosinistra fece la riforma del Titolo V. Non farlo fu una scelta davvero sciagurata. C’era allora una impostazione tendenzialmente federalista che andava assecondata e perfezionata con la creazione di una Camera vera delle regioni e delle autonomie. Il paradosso è che oggi vogliamo fortemente incidere sul Titolo V con un movimento opposto, ricentralizzando. E si chiama Assemblea delle autonomie…
Sta dicendo che siamo alla vigilia di un nuovo centralismo?
In parte è un fatto che le autonomie regionali e comunali non godono di grande popolarità e alcune, non tutte, non hanno dato buona prova di sé. Poi la forte crisi economica e finanziaria nella quale ci siamo trovati ha reso evidente che la proliferazione dei centri di spesa, nella sua sostanziale ingovernabilità dal centro, non è un elemento che aiuta.
Ma lei come la pensa?
Non sono centralista di principio, ma osservo che questa è la tendenza. Il fatto è che non abbiamo mai sperimentato un federalismo funzionante come in altri Paesi, perché abbiamo sempre fatto le cose in modo pasticciato e irrazionale.
Non crede che ci sia anche un bel problema politico?
Certamente. La difficoltà enorme è far accettare al Senato attuale una riforma che lo cancella.
Infatti l’esito non è scontato.
Credo che stiamo giocando le nostre ultime carte. Dopo 40 anni di dibattiti in tutte le sedi possibili immaginabili, è necessario procedere e almeno cambiare il bicamerailmo perfetto, che aveva una sua ratio in passato ma oggi non ce l’ha più. L’importante è non andare avanti con la politica degli annunci, ma ragionare sulle cose fancedole possibilmente come si deve.
E della legge elettorale cosa pensa?
Direi che in un momento come questo, in cui la classe politica ha bisogno di una forte legittimazione e di una forte autorevolezza, bisognerebbe stare molto attenti a privare gli elettori della facoltà di decidere qualcosa per davvero.
È un errore, insomma, fare a meno delle preferenze.
Piano. Le preferenze hanno tanti difetti e soprattutto, in questo momento, enfatizzerebbero le divisioni interne ai partiti. Però, proprio per le ragioni che le ho detto, dare un minimo di scelta ai cittadini sarebbe un gesto molto apprezzato. Sono i cittadini che lo chiedono, un po’ per reazione contro il porcellum, un po’ perché hanno giustamente il diritto di scegliersi i rappresentanti. Riprodurre logiche che escludono o allontanino il rapporto con gli elettori potrebbe essere pericoloso.
Ma non ci sono le primarie?
Sono d’accordo con quanto ha detto Luciano Violante: c’è grande enfasi sulle primarie, ma se invece di investire grandi energie politiche nelle primarie si consentisse la preferenza, risolveremmo probabilmente molti problemi.
Bene dunque almeno una preferenza.
Sì. Che non vuol dire riprodurre vecchie logiche da prima Repubblica. Tra l’altro la preferenza unica è anche legittimata da un vecchio referendum del ’91.
Matteo Renzi parla spesso via Twitter. Ieri ha detto: stiamo facendo la vera rivoluzione in Italia. È così?
Rispondo col mio maestro Gustavo Zagrebelsky: le buone parole sono l’unica cosa di cui adesso non abbiamo bisogno. E poi, questo clima da Istituto Luce modernizzato attraverso i social network non mi piace per nulla.
Si è parlato per anni di riforme, adesso non conviene tentare una rivoluzione?
Le rivoluzioni sono fenomeni storici dagli sviluppi imprevedibili. Può anche darsi che noi si assista a questo; ma cominciamo ad approvare in Senato la legge elettorale, e almeno potremo parlare di una prima riforma fatta… Più che di una rivoluzione, il nostro Paese avrebbe bisogno di un riformismo ragionato.
Il governo dura?
Abbiamo raschiato il fondo del barile. Se nemmeno questo governo riesce a tener fede alle necessità, ha ragione chi dice che a quel punto non avremmo altro da aspettarci che la catastrofe finale.
(Federico Ferraù)