Come nella primissima fase della prima Mani Pulite, la cronaca politica-giudiziaria milanocentrica sembra ogni giorno provvisoria, gravida di novità più sostanziose e inattese l’indomani, anche a costo di smentire ciò che appariva pacifico dodici o ventiquattro ore prima. Appena due settimane fa la sentenza d’appello ammazza-Robledo sui derivati del Comune di Milano viene trattata dai media come cosa da addetti ai lavori. Sui giornali di ieri le foto del procuratore aggiunto di Milano e del suo capo, Edmondo Bruti Liberati – fianco a fianco in conferenza stampa – campeggiano invece nelle pagine di primo piano dei grandi organi d’informazione. Eppure sono passati solo due giorni da quando Repubblica ha scritto che Robledo è “isolato” al quarto piano del palazzo di giustizia milanese e lo ha accostato ai “corvi” della Procura di Palermo.
L’articolo commenta la notizia del clamoroso esposto presentato al Csm – il 12 marzo – dall’aggiunto meneghino contro il suo capo. A caldo gli osservatori si concentrano sul merito della vicenda: l’assegnazione del fascicolo sull’asta Sea, i presunti contrasti fra Robledo e l’altro “aggiunto” milanese Francesco Greco; il ruolo di vip della finanza vicini al Pd come Vito Gamberale (candidato in questi giorni alla presidenza Telecom) e Alessandro Profumo, oggi al vertice di Mps, che – sempre in questi giorni – è diventato scalabile in Borsa.
Trascorrono un paio di notti e i fari mediatici si spostano sui conflitti tra Robledo e un altro illustre “aggiunto” milanese, Ilda Boccassini, che ha appena tirato fuori dal cilindro una “brillante operazione” contro la presunta “banca della ‘ndrangheta” in Lombardia. Il momento di attrito fra Robledo e Boccassini – ufficialmente “segreto” – è rivelato prestissimo nella forma più eclatante: una raffica di arresti “a orologeria” sul crinale “corruzione da appalti”, in un territorio politicamente simbolico del centrodestra come la Regione Lombardia. “Brillante operazione” assegnata pubblicamente a Robledo, con i complimenti ostentati di Bruti Liberati.
Il Sole 24 Ore quella mattina in edicola, comunque, chiosa severamente: “Certe carte non avrebbero mai dovuto uscire dal Palazzo di giustizia di Milano”. Il riferimento è a ciò che Robledo ha allegato all’esposto al Csm, che non a caso decide inizialmente di secretare i procedimenti aperti presso le commissioni interne a Palazzo dei Marescialli. Ma – sempre in tempo reale – è lo stesso Csm a incanalare presso le principali agenzie di stampa una “velina” tanto dettagliata quanto inusuale: preoccupata anzitutto di informare che la Boccassini non avrebbe concorso al posto di capo della Procura di Firenze, per un vizio procedurale nella sua candidatura. (A proposito: in questi giorni gli inquirenti fiorentini hanno aperto un fascicolo sul caso dell’appartamento dato in uso al premier Matteo Renzi – al momento sprovvisto di immunità parlamentare – dall’amico-collaboratore Marco Carrai).
Il Csm, in ogni caso, fa filtrare un’informativa “trasparente” sull’intero risiko in corso per poltrone giudiziarie a cinque stelle. Per la successione di Giancarlo Caselli a Torino – conferma la “velina” – è in corsa un quarto “aggiunto” del proscenio milanese: Armando Spataro, l’inquirente del caso Abu Omar. Ma per la procura sabauda lottano il candidato interno Sandro Ausiello (vicario di Caselli e attuale reggente) e anche l’attuale procuratore capo di Novara, Francesco Saluzzo, allievo del procuratore generale torinese Marcello Maddalena. Il Csm, d’altronde, non manca di rammentare che nei prossimi giorni saranno esaminati anche le candidature per un’altra procura “da novanta” come quella di Bari e per un ufficio non meno strategico come quello di Salerno.
In attesa di altri “sviluppi inattesi” ci si può stupire se – sempre giovedì sera – il cittadino Silvio Berlusconi ha ventilato semi-pubblicamente l’idea di ri-forgiare la sua rediviva Forza Italia come “partito per la riforma giudiziaria”? “Le vittime della giustizia sono un numero incredibile”, dice in un collegamento telefonico con il club di Forza Italia a Monza. Un partito che si dedicasse unicamente alla riforma della giustizia “potrebbe ottenere dal 18% al 21% sul 50% degli elettori indecisi”. Certo, il sospetto che l’ex-Cavaliere abbia improvvisato lì per lì un test di mercato elettorale è forte. Ma si può a priori giudicare invecchiato il suo fiuto di “imprenditore politico”? Forse Beppe Grillo non ha trovato una valanga di voti per MS5 “fra il 18% e il 21% degli indecisi” attratti da slogan elementari contro una casta come quella bancaria?