Per decenni in Italia categorie protette hanno usato il loro potere per estendere i loro benefici. I sindacati hanno protetto chi già aveva un lavoro o la pensione; i funzionari hanno aumentato le regole, i controlli e le sanzioni senza preoccuparsi degli oneri scaricati su quanti devono rispettarli; i giudici hanno dilatato i loro poteri di intervento a tutte le aree del vivere civile e un semplice avviso di garanzia, anziché essere una forma di tutela per l’indagato, è diventato una condanna preventiva; le autorità di controllo si sono moltiplicate e chiunque debba fare una nuova opera o una semplice ristrutturazione deve ottenere autorizzazioni preventive da decine di Enti, senza alcuna garanzia dei tempi.



Vi è poi una intollerabile asimmetria. Quando si toccano le pensioni dei privati si modificano istantaneamente, mentre quelle dei giudici sono diritti acquisiti che è incostituzionale cercare di ritoccare. Chi deve pagare l’Iva la deve pagare anche sui crediti non riscossi e non può neppure compensare questo onere con crediti maturati nei confronti dell’erario. In questo modo siamo diventati un Paese inefficiente, con una grande massa di persone emarginate e ampiamente sottoutilizzate rispetto al loro potenziale.



La sfida di Renzi è sintetizzabile in un’inversione di alleanze: dar voce a chi è stato emarginato per decenni a scapito di chi per anni ha goduto di rendite eccessive. Questa inversione implica una serie di corollari.

1) Forte resistenza da parte di quanti hanno goduto fino a oggi di questi privilegi. Non è pensabile che non attuino tutte le forme di resistenza, sia palesi che occulte, per cercare di arrestare o quanto meno ridurre un’evoluzione che li danneggerebbe pesantemente.

2) Esigenza di ottenere un forte appoggio da parte dei nuovi beneficiari. Solo avendo l’appoggio di forze fino a oggi emarginate Renzi potrà sperare di ribaltare la situazione. Per questo ha bisogno di ottenere risultati immediati e visibili, quali ad esempio i 1.000 euro in busta paga o l’eliminazione di inutili complicazioni per dimostrare a tutti che il cambiamento è possibile.



3) La maggioranza della popolazione è attendista. Accanto ad alcuni fortemente ostili esiste un’altra minoranza di entusiasti che hanno sposato la causa, ma la maggioranza è scettico-speranzosa. Vorrebbe il cambiamento, perché siamo arrivati a un livello di tale insoddisfazione che un profondo rinnovamento è ritenuto da tutti indispensabile, ma teme di essere fregata un’altra volta e che, dopo tante parole, non si passi ai fatti.

4) Le alternative non esistono. Grillo ha dimostrato l’incapacità di andare oltre la protesta, di comprendere i veri problemi del Paese indicandone soluzioni praticabili e i suoi eletti sono allo sbando. Berlusconi è prigioniero dei suoi problemi personali e nessuno può più credere alla rivoluzione liberale che ci aveva promesso ma che ha sacrificato in vista di interessi più immediati, arrivando a identificare il successo dei moderati con la sua personale affermazione e impedendo la nascita di una nuova classe politica.

La sfida di Renzi è ad alto tasso di rischio. La sua forza sta nel giocarsi tutto, senza riserve. O vince o va a casa. La sfida è estesa anche ai suoi ministri e collaboratori: chi non ottiene i risultati va a casa. Non ci sono vie di mezzo. Prima di andare a casa Renzi può far decadere quelli che ostacolano il suo piano. I senatori possono cercare di non abolire il Senato, ma in questo caso si andrebbe subito alle elezioni e per cercare di difendere il loro privilegio nel lungo termine dovrebbero mettere a repentaglio il privilegio attuale.

Renzi deve parlare direttamente alla base, saltando le rappresentanze troppo interessate alla difesa del loro ruolo. Per questo usa un linguaggio inusitato verso i sindacati, Confindustria, Cnel e molte altre istituzioni, dicendo che se faranno obiezioni se ne farà una ragione. L’importante è non perdere il contatto e il consenso che deriva dal rapporto diretto con gli elettori. Per riuscire occorre che questa inversione ottenga subito qualche risultato e poi possa continuare e consolidarsi.

In questo senso ha bisogno di crearsi strutture senza le quali non si può governare un Paese. L’uomo solo al comando è sempre stato una disgrazia e oggi è impensabile che qualcuno ritenga di potere accentrare un potere che deve, necessariamente, essere ripartito anche per raccogliere il contributo e l’energia di tante forze vitali presenti nel Paese.

L’Italia ha grandi risorse e liberata dal ricatto di una classe che ha abusato dei propri privilegi potrebbe tornare a essere un Paese con una grande tradizione. In questo quadro c’è bisogno di tutti: del volontariato, della creatività italica, delle risorse turistiche, del patrimonio culturale, delle tradizioni gastronomiche e culinarie e perché no, anche di una destra che, non più bloccata da Berlusconi, possa davvero rappresentare le istanze dei moderati.

Siamo quindi costretti a sperare nel successo di Renzi. Un suo fallimento ci farebbe ripiombare in una palude stagnante con crescenti difficoltà a fare qualunque cosa. Attraverso un suo successo diventerebbe possibile rimettere in moto le tante risorse presenti nel Paese.

Il coronamento del tutto sarebbe una ripresa diffusa nella quale le varie realtà non più bloccate riprendono a dare un fattivo contributo. Non occorre condannare o emarginare, occorre valorizzare e inserire, dando spazio e legittimità alle diversità presenti nel contesto. È vero che già esistono segnali negativi in questa direzione (vedi legge elettorale), ma dentro un generale rinnovamento sarà importante che ciascuno faccia la sua parte.

Un cambio di alleanze non è mai facile, ma decenni di favori ai soliti protetti hanno creato un bisogno e una volontà di riscatto molto diffusa che potrebbe fornire la spinta necessaria al cambiamento. In bocca al lupo a Renzi e, perché no, anche ad Alfano e a tutti noi.