La “luna di miele” del governo sembra finita e il premier comincia a dar segni di affanno con l’approssimarsi delle elezioni del 25 maggio che rappresentano per il nuovo capo del governo un “voto di fiducia”, e non si può dire che l’esordio di Matteo Renzi sulla scena europea sia stato un successo. Leader carismatico ai nostri occhi – per il “popolo delle primarie” e dei talk-show nazionali – il premier italiano che ha mandato via Enrico Letta, Emma Bonino (ed Enzo Moavero) presentandosi a Bruxelles con Federica Mogherini come ministro degli Esteri non ha ipnotizzato le cancellerie europee. A ciò si aggiunge, sulla scena italiana, una sostanziale destabilizzazione determinata dai rapporti non all’unisono con il ministro dell’Economia, Padoan, con il commissario alla spending review, Cottarelli, e con il presidente di Confindustria, Squinzi. 



Ma il fatto che i “sorrisini” tra Barroso e Von Rompuy abbiano rinnovato quelli tra la Merkel e Sarkozy pone il problema se l’insuccesso europeo di Renzi riguardi soltanto una nostra casalinga sopravvalutazione del sindaco di Firenze. In verità siamo anche di fronte al tentativo di declassamento dell’Italia (nelle trattative per i nuovi vertici di Bruxelles l’Italia sembra emarginata) da parte di una guida europea – Barroso-Merkel – che, da parte sua, ha declassato l’Unione Europea e la sta portando allo sbaraglio a un voto, quello del 25 maggio, in cui si corre il rischio di una sostanziale delegittimazione dell’assetto istituzionale. 



Nelle prossime elezioni europee si profila un generale successo delle liste antieuropeiste ed antieuro che pur marciando divise – come movimenti sia di destra sia di sinistra – già annunciano che colpiranno unite nel nuovo Parlamento. Il prevedibile insuccesso dei partiti europeisti di destra e di sinistra – popolari, socialisti e liberali – è dovuto ad una ragione precisa e cioè al processo di nazionalizzazione dell’Unione imposto negli ultimi cinque anni dalla diarchia franco-tedesca sul piano economico ed istituzionale. In particolare la Merkel ha usato l’allargamento come espansione del proprio export e bloccando la necessaria integrazione. Si è bloccata l’integrazione imponendo una leadership di serie B della Commissione di Bruxelles – con la prorogatio di un debole e inerte Barroso – che ha ridato la guida effettiva ai capi di governo del Consiglio d’Europa ed in sostanza alla diarchia franco-tedesca. Di fronte alla crisi economica mondiale ed europea si è quindi respinto ogni tentativo di risposta unitaria – come gli eurobond – e si è imposta la “nazionalizzazione” della crisi economica dando ai singoli paesi i “compiti a casa”. Tutto ciò facendo capo ad una Germania la cui unificazione e il cui benessere economico dovuto all’allargamento-export sono stati pagati in lire, peseta e dracme. 



L’insuccesso di Renzi dovrebbe far riflettere sulla necessità di una risposta di “squadra” – sul piano politico-istituzionale ed economico-sociale – da parte italiana a questa politica di Bruxelles. Ma con il Parlamento del trio Renzi-Berlusconi-Grillo si profila l’esatto contrario, e cioè mesi di campagna elettorale nel segno della demagogia e dello spappolamento (Italia fuori dall’euro e veneti fuori dall’Italia). 

Mentre (il sottovalutato) Enrico Letta si contrapponeva frontalmente al “populismo” di Beppe Grillo oggi vediamo sia Renzi sia Berlusconi impostare la campagna elettorale nel gareggiare a chi è più Grillo di Grillo. La nuova Forza Italia, ad esempio, si propone di riunire i moderati – spiega il consigliere Toti – “scavalcando a sinistra” il Nuovo Centro Destra. 

L’Italia di Renzi-Grillo-Berlusconi è quella di un’inflazione di leader carismatici in un paese che però è sempre più privo di qualsiasi carisma e continua a perdere terreno sul piano della competitività economica e delle decisioni internazionali. La sera del 25 maggio rischiamo infatti di trovarci con un premier delegittimato e senza legge elettorale praticabile.