“Le riforme istituzionali del premier Renzi rappresentano un’involuzione autoritaria, perché il nuovo Senato delle Regioni non sarà più espressione del popolo pur continuando a rivestire una funzione fondamentale come la revisione costituzionale”. A rimarcarlo è Lorenza Carlassare, professore di Diritto costituzionale all’Università di Padova ed ex membro della Commissione dei 35 saggi voluta dal presidente Napolitano. Insieme ad altri esperti, la professoressa Carlassare ha sottoscritto un appello dal titolo “Verso la svolta autoritaria” in cui si sottolinea che “stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali. Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare”.
Che cosa ne pensa nel merito e nel metodo delle riforme del governo Renzi?
La mia principale obiezione riguarda lo spirito di queste riforme. Nessuno crede che sia sbagliato differenziare la Camera dei Deputati dal Senato, sono anni che se ne parla e io stessa lo avevo affermato in un saggio del 2001 dal titolo “Il bicameralismo discutibile”. Sulle critiche a questo tipo di bicameralismo siamo tutti d’accordo. Il problema però è quale sia l’obiettivo di una riforma costituzionale.
Per quale motivo nel documento da lei sottoscritto si parla di svolta autoritaria?
La svolta autoritaria che noi vediamo consiste nell’eliminazione della volontà del popolo, in quanto gli elettori finiscono per non contare più nulla. Con il ddl costituzionale voluto dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, uno dei due rami del Parlamento smette di essere elettivo. Il Senato non è eliminato ma continua a esistere, e continuerà a esercitare un potere molto vasto, mentre sarebbe cosa ben diversa se si decidesse di trasformarlo in un organo puramente consultivo.
Che cosa ne pensa del modo in cui sarà composto il Senato delle Regioni nel nuovo assetto istituzionale?
Il punto è che a comporlo sono soltanto dei presidenti delle Regioni,alcuni sindaci insieme a 21 membri nominati dal presidente della Repubblica. La vera questione è che in questo modo si eliminano gli elettori, pur lasciando al Senato una delle funzioni legislative più importanti. Quest’organo formato da persone che i cittadini non hanno certamente scelto per quella funzione, parteciperanno alla formazione della stessa legislazione costituzionale. Le leggi di revisione costituzionale saranno cioè approvate da questo stesso “pseudo-Senato”. Ciò rappresenta un’involuzione autoritaria, perché si tratta di un organo che non è espressione del popolo.
Lei a quale modello sarebbe invece favorevole?
Basterebbe ispirarsi al modello americano, nel cui Senato ci sono due membri eletti dalla popolazione di ciascuno Stato. E’ questa la chiave di volta per la modifica dello stesso Senato italiano, mentre sono favorevole al fatto che sia solo la Camera a votare la fiducia al Governo.
E’ solo la riforma del Senato a preoccuparla?
No, si tratta di una questione che si combina con quella relativa all’Italicum, il quale non consente le preferenze e pone la soglia d’ingresso dell’8% per i partiti e i movimenti che non sono coalizzati, impedendo l’espressione di qualsiasi opinione minoritaria e dissenziente. E consente, viceversa, attraverso il premio in seggi, a chi ha avuto solo una maggioranza relativa di dominare l’Assemblea senza opposizione efficace.
Nel luglio scorso lei scelse di dimettersi dalla Commissione dei 35 saggi. Quali sono stati i motivi della sua decisione?
Mi sono dimessa, per sottolineare la gravità di un fatto che dimostrava il disprezzo della maggioranza governativa per i principi dello Stato di diritto: la sospensione dei lavori parlamentari voluta dal Pdl contro la magistratura che aveva fissato la data del processo Berlusconi in modo da evitare che scattasse la prescrizione.
La Commissione dei saggi non poteva rappresentare un modo diverso e più partecipato per trovare una soluzione al problema delle riforme istituzionali?
Questa possibilità c’era, anche perché le posizioni all’interno della Commissione erano molto variegate. Non concordavo però con la posizione che emergeva nella relazione finale del Comitato dei saggi, anche se ovviamente i risultati cui si approdava erano molto diversi da quelli del governo Renzi. Ero d’accordo rispetto al fatto di togliere al Senato il potere di dare la fiducia al governo, trasformandolo in un ramo del Parlamento che fosse espressione delle Regioni, purché continuasse a essere espressione del corpo elettorale.
(Pietro Vernizzi)