Mettere in busta paga a fine mese, alla vigilia delle elezioni, un bonus la cui copertura finanziaria è delegata a futuri provvedimenti di enti locali ed enti di stato dai tempi incerti e secondo ipotesi anche alternative è una “manovra economica” veramente innovativa. Basti pensare a 1,5 miliardi dalla Rai immaginati, alternativamente, o vendendo Rai Way oppure riducendo le sedi regionali. Si provi a chiudere la sede di Firenze: immediata protesta di amministratori locali e sindacati. Nella migliore delle ipotesi non mesi, ma anni prima di “andare a regime” (peraltro senza licenziamenti e ricorrendo ad appalti esterni). Vendere la rete? Chi ha detto che vale 1,5 miliardi? Dove sono i possibili acquirenti a quel prezzo? Ma tali domande nessuno le pone. Nel caso di Renzi vale il detto-fatto. 



In questo quadro la conclusione positiva dell’incontro tra Renzi e Berlusconi ha avuto come naturale conseguenza che il principale antagonista del governo è diventato il Movimento 5 Stelle. La campagna elettorale per il 25 maggio si sta svolgendo oramai con al centro il bipolarismo non Pd-Forza Italia, ma piuttosto Renzi-Grillo.



Berlusconi come antagonista di Renzi è inevitabilmente handicappato. Non può che essere grato al premier che gli è venuto “in soccorso”, alla vigilia della definizione dell’affido ai servizi sociali, per sollecitarne l'”agibilità politica” con un vertice a Palazzo Chigi che ha sottolineato il ruolo essenziale del leader di Forza Italia per l’approvazione delle riforme istituzionali. Naturalmente, in cambio, è difficile per Forza Italia attaccare il capo del governo più di tanto. Lo stesso Berlusconi si è complimentato per le nomine Eni, Enel, ecc. elogiandone il “coraggio”. 



Ma è sul contenuto stesso della campagna elettorale per le europee che nel complesso il partito di Berlusconi è in secondo piano rispetto allo scontro Renzi-Grillo, tra eurorinegoziazione ed euroscetticismo. I berlusconiani sono al tempo stesso scavalcati da un lato dalla Lega nella contestazione globale dell’euro e dall’altro dal Nuovo Centro Destra nell’appartenenza al Partito Popolare Europeo. Certamente è poco credibile la squadra che ha messo in campo Berlusconi come capacità di “farsi sentire” in Europa o di “alzare la voce” dal momento che in prima fila c’è Antonio Tajani che è un’ottima persona, ma che come vicepresidente della Commissione Barroso in ben cinque anni sostanzialmente non ha mai aperto bocca ed è l’immagine della resa e della subalternità alla burocrazia di Bruxelles, a troika economica e diarchia franco-tedesca. Per dare credibilità ad una capacità di aggressiva rinegoziazione Berlusconi avrebbe dovuto mettere in campo più che Tajani e Toti altre personalità come Giulio Tremonti, ma il vertice aziendal-familiare segue altre logiche e Berlusconi, sia come rinegoziatore sia come contestatore, appare meno credibile di Renzi o di Grillo. 

A cristallizzare la secondarietà di Berlusconi è la scelta di porre al centro non l’attacco a Renzi o a Grillo, ma ad Alfano che è un leader secondario secondo lo schema Berlusconi-Salò contro Alfano-Badoglio. Se il tema dominante di Forza Italia rimane la “guerra civile” nel centro-destra, è evidente che al momento del voto non avrà alcuna credibilità un’alternativa a Renzi sulla sua destra (con il premier che, anzi, appare un mediatore tra Berlusconi e Alfano). 

Matteo Renzi va quindi al voto del 25 maggio consolidandosi come unica proposta politica in campo avendo come alternativa il movimento di Grillo che però rientra nella galassia dei movimenti antieuropeisti di destra e di sinistra che pensano che la cura consista nel rompere il termometro. Il voto è comunque non solo un test, in quanto è anche evidente che se Forza Italia non supera nettamente Grillo la legge elettorale partorita al Nazareno non sarà più politicamente percorribile. 

Ma il capo del governo sembra destinato comunque a rimanere saldamente in sella con un crescente consenso, come ha evidenziato la totale assenza di critiche al modo − in verità un po’ spregiudicato − con cui ha rimosso, a sorpresa, il vertice di un’azienda di Stato non in scadenza. Si sospettava che l’anticipata ascesa a Palazzo Chigi fosse stata sollecitata dai suoi potenti amici in vista delle nomine. Infatti è stato spostato il burbero amministratore delegato delle Ferrovie che rendeva la vita difficile ai treni di Montezemolo e Della Valle e che, appunto, non era nell’elenco dei rinnovi.