La riforma del Senato della Repubblica, pilastro fondante dell’agenda di Matteo Renzi (“Se non passa la riforma finisce la mia storia politica”) e del patto del Nazareno stretto con Silvio Berlusconi è l’argomento principe della vita politica italiana di questi giorni. I lavori in Commissione affari costituzionali continuano serrati per analizzare le proposte, così da partorire un testo base sul quale innestare gli emendamenti. Ma questo testo base potrebbe non essere il ddl Boschi, bensì quello di Vannino Chiti (senatore del Pd), forte di una maggioranza trasversale che vede l’appoggio anche del Movimento 5 stelle e – da ieri – di Forza Italia. Sia i grillini che gli azzurri, infatti, chiedono che il Senato rimanga elettivo, e non diventi (come vorrebbe invece il premier) un organo nominato. Prove tecniche di una nuova e strana maggioranza? Lo abbiamo chiesto a Nicola Morra, senatore pentastellato e vicepresidente della Commissione affari costituzionali che sta esaminando le proposte diriforma.

Ammiccate, seppur con riserva, al ddl Chiti. La vostra è un’apertura “insolita”, visto che siete restii nel considerare a fondo proposte che non siano targate Movimento 5 Stelle.

Mi spiace contraddire fin dalle premesse, ma noi prendiamo in considerazione tutti i provvedimenti nella sostanza delle cose, per quello che offrono. Nel caso del disegno di legge Chiti (alla pari di altre proposte) ci piace, in particolar modo, l’idea che il Senato debba rimanere elettivo. Quindi, essendo chiamati a una scelta tra un Senato di nominati e uno di eletti – noi che nasciamo dall’esaltazione della democrazia diretta dal basso – non possiamo che essere a favore di un organo eletto dai cittadini.

C’è però un lecito dubbio di credibilità dietro a questo vostro ok al testo del senatore Pd. È un bluff per mettere in difficoltà Renzi o la vostra vuole essere ed è una collaborazione seria e costruttiva?

Macché bluff. Noi stiamo valutando seriamente tutti i ddl che sono stati incardinati in discussione. Un esempio? Ne abbiamo individuato uno, proposto da Tremonti, che invita a riconsiderare il rapporto tra la legislazione italiana e quella europea (alla quale siamo troppo assoggettati). Tornando poi al disegno di legge di Vannino Chiti, ci sono diversi aspetti sui quali ci sarebbe da ragionare.

Ci dica.

In primis, il fatto che il numero dei senatori viene ridotto di due terzi mentre quello dei deputati viene dimezzato. Francamente, in via logica nonché matematica, sarebbe auspicabile procedere con la stessa misura; se poi bisogna penalizzare qualcuno allora avrebbe più senso guardare alla Camera, che ha un maggior numero di eletti.

Poi?

Non si fa alcun riferimento alla riduzione dell’indennità da corrispondere ai parlamentari nel loro insieme. Questi sono argomenti a noi carissimi, che interessano tutti. Su questo, ripeto, si può ragionare e rivedere qualcosa, ma il fatto che Senato debba rimanere elettivo ce lo si lasci passare. Per tutte le forze democratiche deve essere questa la via maestra.

 

Il testo a firma del governo lo bocciate in pieno.

Sì, ma mica solo noi. Secondo molti altri colleghi la proposta del ddl Boschi porterebbe alla formazione di un’aula dopolavoristica (per usare parole loro), visto che impegnerebbe (con un ulteriori compiti) assessori, sindaci e presidenti di giunta. Noi siamo da sempre a favore di una politica come missione, non come secondo incarico ai soliti noti. Pensare che una settimana al mese questi possano venire a Roma, in fretta e furia, mettendo mano a questioni importanti (visto le funzioni che sarebbero affidate a Palazzo Madama) è quanto meno contraddittorio.

 

In merito alle modifiche che chiedete di innestare sull’ossatura del ddl Chiti, si parla di un meccanismo di “recall” per sfiduciare i parlamentari inadempienti oltre ad elementi di democrazia diretta. Ce li può illustrare?

Noi, da sempre, reputiamo che i referendum debbano essere estesi anche ad altre possibilità, ovvero essere anche propositivi, con l’introduzione del principio quorum 0: chi partecipa ha sempre ragione, chi non partecipa, invece, si tira fuori dal gioco. Sarà così interesse, nonché diritto-dovere del cittadino, informarsi ed eventualmente penalizzare la classe politica che sta tradendo la fiducia del cittadino-elettore stesso. Tutto questo si coniugherebbe dunque con l’introduzione del “recall”: con un numero di firme prefissato un collegio elettorale può mandare a casa chi non soddisfa più le istanze di chi lo ha votato.

 

Nel solco di questa partecipazione popolare, sareste favorevoli all’elezione diretta del presidente della Repubblica? Cosa che, tra l’altro, piace a Renzi e Berlusconi…

Questo è un altro discorso ancora. Nel nostro sistema il capo dello stato è una figura di garanzia che viene eletta in seconda battuta al fine di evitare che alcune individualità possano emergere. L’Italia non è una Repubblica presidenziale e neanche dobbiamo diventare una Repubblica “del premierato”. Per cui noi rinviamo a un Parlamento  che sia sempre più espressione di cittadini consapevoli e messi in condizione di intervenire nel merito delle questioni.

 

Ma se andasse in porto questo asse con il Pd sul ddl Chiti, si può pensare a una nuova maggioranza con la minoranza del Pd?

Su questo provvedimento ci potrebbe essere una convergenza, ma dipende sempre dall’oggetto di discussione. Faccio un altro esempio: chiunque – compreso Matteo Renzi – ci dovesse proporre il reddito minimo di cittadinanza (ragionando ovviamente bene sulle coperture), ci troverebbe sempre pronti e disposti ad approfondire il merito di una questione che farebbe il bene degli italiani. Se si tratta di cose giuste, sensate, valide e a difesa dei diritti del cittadino, non è importante da chi provengano: per quale motivo non dovremmo farle nostre?

 

A proposito, si potrebbe venire a creare uno strano trio che vede voi a braccetto con parte del Pd e Forza Italia, visto che anche gli azzurri spingono per un Senato elettivo.

Oggi in Commissione ho sentito Paolo Romani ricordare che l’alleanza Renzi-Berlusconi era stata fatta affinché, in contemporanea, si approvasse la riforma del Titolo V e quella elettorale. Sui singoli aspetti delle questioni noi possiamo entrare in convergenza con tutti. Ma, sottolineo, si tratta di singoli aspetti. Poi se gli altri fanno accordi presso le stanze del Nazareno non è un problema nostro…

 

Traballa dunque anche l’Italicum? Dopo le Europee, che potrebbero vedere il Movimento 5 Stelle consacrarsi come seconda forza politica italiana, il testo della legge potrebbe tornare fortemente in discussione?

Allora: la nostra legge elettorale è quella voluta da cittadini attivisti che hanno concorso sulla rete alla delineazione del testo, che a breve verrà scritto e depositato presso gli uffici delle due Camere. Dell’Italicum – che è nato per uccidere il Movimento 5 Stelle, per loro stessa ammissione – a noi interesse ben poco: a noi urge restituire la parola i cittadini. Il popolo deve tornare a essere sovrano: mantenere in sella un terzo presidente del Consiglio che nasce da una manovra di palazzo non sarebbe certo il trionfo della democrazia che noi invece perseguiamo. Loro hanno paura del fatto che il Movimento, accreditato come uno dei due competitori finali, è sempre più forte e radicato: hanno così messo in dubbio la loro stessa legge elettorale, facendo un autgol.

 

(Fabio Franchini)