Ha ragione chi afferma che il “Senato delle autonomie” sia il vero punto di contrasto sul progetto di riforma costituzionale Renzi-Boschi. Ha meno ragione, quando, così dicendo, intende sottovalutare la rilevanza della questione. Attorno al nuovo Senato, infatti, ruota quasi tutta la riforma: il venir meno del bicameralismo paritario; il rapporto di fiducia soltanto con la Camera dei deputati; la diretta rappresentanza istituzionale delle Regioni e dei Comuni (e non degli altri enti territoriali pure previsti dalla stessa riforma) in un ramo del Parlamento; il distinto ruolo delle due Camere nel procedimento legislativo e nell’adozione di scelte essenziali per l’intero Paese; e la stessa redistribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni. Con tutto ciò che ne consegue, ad esempio, circa l’elezione del Presidente della Repubblica o di parte dei componenti della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura.
Il vero problema, dunque, è intendersi sul ruolo che dovrebbe assumere la cosiddetta seconda Camera. E tale ruolo non deriva tanto dall’accoglimento o meno della pregiudiziale, posta sinora con decisione dal Governo, circa la non elettività dei componenti di tale Assemblea. Dipende, invece e soprattutto, dalla decisione – questa sì preliminare – circa le funzioni che si intendono attribuire al nuovo Senato. Dalla risposta a questa domanda cruciale dovrà discendere la composizione di quest’organo e, conseguentemente, la definizione dei relativi rapporti con le altre istituzioni.
In verità, il ruolo del “Senato delle Autonomie” prefigurato nella riforma Renzi-Boschi appare piuttosto indeterminato. Soprattutto, avrebbe compiti così deboli e circoscritti che, ben difficilmente, si può considerarlo come un organo di “garanzia” – come pure si dice nella relazione governativa – dotato di effettivi poteri di controllo e di bilanciamento, cioè tali da collocarlo tra i soggetti capaci di attivare reali strumenti di checks and balances all’interno degli organi costituzionali.
Del resto, a guardare il testo presentato dal Governo, il “Senato delle Autonomie” non sarebbe una vera e propria Assemblea di riflessione, perché potrebbe attivarsi al massimo per posticipare soltanto di un mese l’affermazione della volontà preponderante della Camera dei deputati; né si presenterebbe come una Camera alta, cioè di ponderazione in ragione della diversa età dei componenti, perché si prevede l’abrogazione degli specifici limiti di età che, circa l’elettorato attivo e passivo, differenziano l’attuale Senato; e neppure sarebbe una sede nazionale dedicata in modo pieno e completo alla rappresentanza di tutte le istituzioni territoriali costituzionalmente previste. Anche in questo senso, la funzione di “raccordo” con le autonomie risulta alquanto sbiadita.
Si racconta che De Gaulle, rispondendo alle obiezioni formulate da un costituzionalista incaricato di redigere il testo di quella che sarebbe poi diventata la Costituzione della V Repubblica, disse: “La parola è libera, ma la penna è schiava”. Voleva dire che, una volta fissato un obiettivo di riforma, nella scrittura del nuovo testo costituzionale occorre perseguirlo con decisione. Nel nostro caso, occorre ancora decidere l’obiettivo.