Duello tra Forza Italia e maggioranza di governo sulla riforma del Senato. Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia e vicepresidente di Palazzo Madama, si è detto favorevole a valutare una modifica al decreto Renzi-Boschi sulle riforme istituzionali reintroducendo il Senato elettivo, come previsto anche dal ddl Chiti. A rincarare la dose è stato il presidente dei senatori di FI, Paolo Romani, secondo cui sul Senato elettivo “è d’accordo buona parte dei gruppi in commissione, anzi c’è la maggioranza sia in commissione sia in aula”. La ciliegia sulla torta è stata messa da Berlusconi, per il quale la riforma del Seanto di Renzi così non è votabile. Luciano Violante, ex presidente della Camera, spiega invece di essere favorevole a un’elezione di secondo grado, con i consiglieri regionali che eleggono a loro volta i senatori.



Violante, da dove nasce questa sua posizione?

L’obiettivo comune a tutti è superare il bicameralismo paritario e quindi lasciare alla sola Camera il voto di fiducia e il voto sulla maggior parte delle leggi. Ma se ci fosse un’elezione diretta dei senatori, espressione della sovranità popolare, è inevitabile che i senatori mantengano gli attuali poteri, visto che non cambierebbe il sistema di elezione. Quindi, a mio avviso, se si vuole superare l’attuale bicameralismo bisogna superare l’attuale sistema di elezione diretta.



Quindi su questo punto lei è d’accordo con Renzi?

Sì; ma è una tesi che non nasce oggi; nasce in Italia alcuni decenni fa ed è stata sempre sostenuta dal Pd.

Lei quale ruolo vede per il nuovo Senato?

Di fronte a una Camera eletta con un superpremio di maggioranza, Palazzo Madama deve essere un luogo che dà equilibrio al sistema. Questo bilanciamento è possibile se i senatori hanno una diversa rappresentatività rispetto ai deputati, legata alle Regioni e ai comuni. Dovrebbe poi riflettersi su qualche intelligente proposta di mediazione.

Quale?

Il senatore Russo propone che i senatori siano consiglieri regionali con il doppio incarico. Sarebbero votati all’atto della elezione del consiglio regionale, sarebbero contemporaneamente componenti del consiglio regionale e del Senato. Naturalmente non dovrebbe aumentare il numero complessivo dei consiglieri di ciascuna regione. Come tutte le soluzioni di compromesso, non è lineare. Ma può aiutare a trovare una via d’uscita.



Lei quale soluzione propone?

Preferisco la soluzione dell’elezione diretta di secondo grado, con i consiglieri regionali eletti dai cittadini che eleggono a loro volta i senatori.

Ritiene che il patto tra Berlusconi e Renzi sia stato rotto?

Tutti i patti politici, quando si entra in campagna elettorale, sono soggetti a fibrillazione. A un mese dal voto ciascuno cerca di incamerare il massimo dell’utilità possibile; le fibrillazioni quindi non mi preoccupano, anche se mi auguro che non comportino il fallimento del progetto di riforma.

Passate le elezioni il patto durerà?

Mi auguro che sia così, ma dipenderà anche da quale sarà l’esito della campagna elettorale. Dopo il 25 maggio si ridisegna la geografia politica; le Europee si basano sul sistema proporzionale e quindi ciascuna forza misurerà il proprio peso effettivo nella società.

 

Il patto dopo il voto sarà rinegoziato?

E’ un’ipotesi che si concretizzerebbe se cambiassero radicalmente gli equilibri tra Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Pd. Oggi il partito di centrosinistra è un po’ più forte e gli altri due più o meno si equivalgono. Se i rapporti resteranno questi non cambierà granché, se invece cambieranno radicalmente sarà inevitabile avere una fase di ridiscussione.

 

Un Pd più forte da un punto di vista elettorale chiederà di più?

Un Pd con un maggiore consenso elettorale avrà più forza nel portare avanti il suo progetto. Anche se una Forza Italia più debole potrebbe a sua volta diventare un ostacolo. Il rischio è costituito dalle difficoltà di Forza Italia. Se Berlusconi dovesse ritenere che il patto con il Pd lo indebolisce da un punto di vista elettorale, potrebbe essere tentato di farlo saltare.

 

Su quali punti potrebbe essere rinegoziato il patto?

Ci sono due questioni ancora da affrontare. In primo luogo la legge elettorale, che è da rivedere, e poi tutta la questione della forma di governo. Nell’attuale fase delle riforme, la stabilità del governo è affidata soltanto al premio di maggioranza. Occorrerebbe invece introdurre altre garanzie, come la sfiducia costruttiva, la possibilità della fiducia al solo presidente del Consiglio, la possibilità per il premier di nominare e revocare l’incarico ai singoli ministri. A ciò aggiungerei la possibilità per il presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento della Camera dei deputati, e di ottenerlo se quest’ultima non riesce a esprimere un nuovo governo entro un breve termine. Occorre consolidare costituzionalmente le maggioranze di governo; i numeri da soli possono non bastare, come dimostrano nostre recenti esperienze.

 

(Pietro Vernizzi)