Freud o Deleuze avrebbero molto da scrivere sulle gaffes ventennali di Berlusconi. Ma la sua imputazione ai tedeschi di ignorare persino l’esistenza dei lager non è propriamente una gaffe. La manifestazione della quale ha già ottenuto qualche risultato mediatico. 

Intanto, essa risponde a un sentimento popolare antitedesco, diffuso in Italia e in Europa, che vibra nelle corde della parte più anziana della popolazione, quella che ha fatto a tempo a sperimentare direttamente o indirettamente l’occupazione tedesca degli anni della guerra. Grattando sotto la crosta dell’antifascismo popolare, si trova molto spesso l’anti-teutonismo. I “crucchi”, nei quali sono ricompresi anche gli austo-ungarici, sono accusati di avere per ben due volte messo a soqquadro sanguinosamente l’Europa. Mentre l’antifascismo della sinistra evoca la Resistenza, la retorica del Secondo risorgimento e, talora, persino il rimpianto per la rivoluzione tradita o mancata, quello popolare tende a scolorare verso una fondazione dell’antifascismo sul “padroni a casa nostra”. 



Si ricorderà, forse, che, mentre nel 1993 Berlusconi accreditava Fini, Bossi si scagliò contro “Berluskaz”, in nome dell’antifascismo popolare lombardo, al punto di accusare Berlusconi di essere fascista e mafioso. Quale uso politico abbia inteso fare Berlusconi della sua uscita antitedesca è, a questo punto, abbastanza evidente. Un primo effetto immediato, per lui positivo, sono state le reazioni tedesche e europee. 



Dovendo competere con Renzi e con Grillo, capaci di occupare gli spazi mediatici, ha guadagnato uno spazio mediatico a sua volta. La filosofia pare essere quella del “purché se ne parli”… Tanto il leader socialdemocratico Schulz quanto quello popolare Juncker quanto il portavoce della Merkel sono stati costretti a intervenire: il socialdemocratico perché attaccato direttamente; Juncker perché chiamato a prendere le distanze in quanto leader del Ppe; la Merkel, in quanto tedesca e sostenitrice di Juncker. Se si tratta di gaffe, è stata bene assestata. Perché la partita si gioca in Italia. Grillo rischia, stando ai sondaggi, di arrivare secondo, confinando la neonata Forza Italia al terzo posto. Il che potrebbe essere l’inizio della decomposizione finale. 



Grillo, che a sua volta ha pensato bene, attingendo al filone dell’antiteutonismo, di fare il verso alla terribile scritta di Dachau: Arbeit macht frei. Poiché l’Europa è a guida tedesca, molto antieuropeismo attinge all’antiteutonismo. Qui le differenze specifiche con Grillo sono la sostanza della campagna elettorale già incominciata. Per Grillo (e per Salvini) si tratta di abbandonare la nave europea e l’euro. Rovesciando l’antico slogan luterano e, più recentemente, altoatesino “Loss von Rom” (via da Roma!), una corrente politica – che le elezioni ci diranno quanto larga – in Italia propone “Loss von Berlin” (via da Berlino). 

Berlusconi cerca di derivare l’acqua da questa corrente al proprio mulino: sì all’Europa, però non a guida tedesca. Che, d’altronde, è anche la linea di parte del Pd e di Tsipras. Non può dire no, perché Forza Italia è membro del Ppe e perché il lussemburghese Juncker è anche il suo leader designato quale presidente della Commissione europea. Ma non può dire sì a occhi chiusi, perché insidiato dal M5S e dalla Lega, di cui il suo vecchio ministro Tremonti è diventato la punta di diamante intellettuale anti-euro. Dunque, non una gaffe, ma una consapevole operazione politica, spacciata per un lapsus freudiano.