L’altro ieri l’ultimo saluto a Gerardo D’Ambrosio, uno dei padri dell’inchiesta di Tangentopoli. L’ex procuratore della Repubblica è morto domenica 30 marzo e nella giornata di martedì 1 aprile il feretro è stato simbolicamente portato nell’atrio centrale del Palazzo di Giustizia di Milano. La bara coperta di rose bianche è stata omaggiata, in toga, da Francesco Saverio Borrelli, Francesco Greco, Gherardo Colombo. Antonio Di Pietro, altro membro di punta del pool di Mani pulite, è apparso in disparte e in abiti borghesi, senza partecipare alla foto di gruppo dei protagonisti di quell’inchiesta spartiacque per la storia dell’Italia. Secondo Frank Cimini, storico cronista giudiziario per decenni sul campo a Milano (oggi impegnato nel progetto giustiziami.it), lo scontro tutto italiano tra politica e magistratura ha radici antiche, negli anni di Piombo.



Francesco Saverio Borrelli, Francesco Greco, Gherardo Colombo insieme, in toga, per omaggiare Gerardo D’Ambrosio. Senza toga e in disparte Antonio Di Pietro, escluso dalla foto ricordo del pool. È una presa di distanza dalla politica, oltre che dal leader Idv?

Non è questo il punto. Poi, nel caso specifico, non è certo una presa di distanza che avviene adesso. Il problema è che da tempo i rapporti tra Di Pietro e i suoi colleghi rimasti in magistratura – compreso lo stesso D’Ambrosio (che, andato in pensione, è entrato pure lui in politica) – per una serie di fatti non erano certo idilliaci. Di Pietro aveva avuto dei duri scontri con Borrelli, quando cercò di dissociarsi dall’avviso di garanzia a Berlusconi nel novembre del 1994.



Sì, però fu un protagonista assoluto, nonché volto più televisivo, dell’inchiesta di Tangentopoli. Vederlo così in secondo piano nel giorno in un’occasione del genere…

Beh, ma ormai sono 20 anni che lo stesso Di Pietro non è più in magistratura. Insomma, è una cosa fisiologica che sia stato in disparte; sarebbe stato ridicolo se si fosse messo la toga addosso e avesse preso parte, seppur in borghese, alla foto.

Non è un gesto forte?

Ma no, è un episodio: non gli darei tutta questa importanza.

Ma è così sbagliato parlare di muro contro muro in merito al rapporto magistratura-politica?



Il problema della separazione (e del conflitto) tra i due poteri si trascina da 30-40 anni. Per capirlo bisogna risalire alla notte dei tempi. Mi spiego: il problema vero è quello della sovversione interna, passato alla storia (secondo me con un termine inappropriato) come terrorismo e anni di piombo. Ecco, in quel periodo la politica ha completamente delegato alla magistratura il compito di risolvere una questione politica, che è stata invece trattata, dalla magistratura, come fenomeno criminale, mentre la politica se n’è totalmente disinteressata.

Insomma, ai magistrati il lavoro sporco…

Sì, e loro hanno preteso che la politica approvasse leggi in violazione della Costituzione, come la legge sui pentiti e dissociati. La politica ha fatto questa concessione e la magistratura ha tolto le castagne dal fuoco. Poi, quando agli inizi degli anni 90 la politica si è indebolita, la magistratura ha presentato il conto.

 

Ecco Tangentopoli.

I magistrati hanno attaccato alla giugulare: nasce Mani pulite. La corruzione c’era anche prima, ma si faceva finta di non vederla. E anche in quest’emergenza, come in passato, è stata violata la Costituzione, il codice penale e via così. Ne hanno fatte di tutti i colori. Quindi il conflitto tra i due poteri deve essere contestualizzato in questo quadro. È una magistratura che va a riscuotere, dicendo: adesso comandiamo noi. È un problema, peggiorato con l’anomalia di Berlusconi in politica, rimasto irrisolto. In più…

 

Dica.

Di Pietro si è proposto come simbolo della magistratura e viceversa. Ecco, non tutta la magistratura, ma Anm e Csm, che sono in pratica organismi politici. Lo stesso Consiglio superiore è pieno di correnti. Comunque, la magistratura non solo si è presa Di Pietro come volto, ma gli ha anche impedito di essere processato a Brescia; i condannati di Mani Pulite sono finiti in galera per molto meno. Avendolo scelto, si sono trovati costretti a difenderlo: chi è causa del suo male pianga se stesso. Oggi hanno preso le distanze? Beh, facile, ora Di Pietro non conta più niente.

 

Magistratura e politica come due barricate: chi scavalca la prima per passare alla seconda viene considerato un traditore?

Premessa. Sono tanti – troppi – i magistrati che hanno usato il clamore mediatico delle loro inchieste per far politica ancor prima d’entrarci (come Di Pietro) e poi passarci ufficialmente sperando di far carriera anche lì. È per esempio il caso di De Magistris e Ingroia, ma è successa la stessa cosa anche nell’opposto schieramento.

 

E, appunto, i loro ex colleghi cosa pensano?

Quello che dicono i loro ex colleghi è da filtrare tra quello che dicono in camera caritatis e quello che dicono in pubblico. C’è chi pensa, come Borrelli, che un magistrato non dovrebbe mai entrare in politica, però continuano a farlo. I partiti, soprattutto quelli di sinistra, non riescono proprio a farne a meno. Ma ripeto, è un problema mai affrontato davvero.  È una questione che dovrebbe essere disciplinata deontologicamente, e non con inutili leggi che qui in Italia fioccano che è un piacere. Vogliamo dire un’ultima cosa quanto mai sintomatica su queste operazioni politiche dei magistrati?

 

Prego.

I secessionisti veneti arrestati: è una boiata pazzesca. È possibile che chi ha un trattore e ci monta su un cannoncino venga accusato di terrorismo, rischiando anni e anni di galera? È pazzesco. Nel frattempo quattro militanti No Tav sono in galera da mesi per aver distrutto un compressore in un cantiere. Con la medesima accusa di terrorismo rischiano trent’anni di carcere. Ma stiamo scherzando? Sono segnali: chiunque cerca di ribellarsi – che sia di destra o sinistra – è tacciato di terrorismo. Questo è fare politica e nessuno dice niente: siamo un Paese di garantisti per sé, i propri amici e il propro partito; quando succede agli altri se ne fregano.

(Fabio Franchini)