“Il Senato non deve essere eletto, se non passa la riforma finisce la mia storia politica”, firmato Matteo Renzi. La revisione del bicameralismo perfetto, con la conseguente trasformazione del Senato in una camera dei comuni e delle autonomie, è una delle colonne portanti dell’agenda del presidente del Consiglio. Come sugli 80 euro in più in busta paga, si gioca la faccia. In attesa che il testo arrivi a Palazzo Madama, 22 senatori del Partito democratico hanno depositato un loro ddl che si differenzia da quello proposto dal loro leader. Felice Casson, senatore Pd, firmatario del disegno, ce lo presenta: “I nostri calcoli relativi alla diminuzione dei senatori e deputati parlano di una cifra superiore a quella del disegno governativo”.
Insieme a Vannino Chiti, primo firmatario, e altri senatori dem lei ha presentato un disegno di legge costituzionale per la riforma del Senato. Quali sono le differenze rispetto alla bozza di Matteo Renzi?
Partirei piuttosto dal punto in comune, che è quello relativo al necessario superamento del bicameralismo perfetto, in ottica di una maggiore efficienza del lavoro del Parlamento.
Mentre i punti di discrepanza?
Il nostro ddl si differenzia, innanzitutto, per quanto concerne il taglio dei parlamentari, la cui riduzione totale sarebbe più che doppia. Alla Camera si passerebbe da 630 a 315 deputati, mentre al Senato, dai 315 attuali, ci troveremmo con 100 più 6 eletti nelle circoscrizioni estere.
E per quanto riguarda le funzioni?
Al nuovo Senato spetterebbe la competenza di intervenire non solo in materia costituzionale e sui trattati internazionali, ma anche sui sistemi elettorali e sui diritti fondamentali della persona. La differenza sostanziale – proprio per questi rilevanti compiti a livello costituzionale – è che riteniamo che i senatori debbano continuare a essere eletti per corrispondere alla volontà degli elettori. Quello che non convince è il fatto che un presidente di regione o un sindaco (di un medio o grande comune che sia) possa fare contemporaneamente due mestieri così importanti: da una parte lavorare in Regione o in Comune e poi dover presenziare anche in Senato. Bisogna fare una cosa e bene, senza sovrapposizioni ed eventuali conflitti d’interesse. E in più…
Prego.
Questo comporterebbe ulteriori aumenti di spesa perché ognuno di questi aventi il doppio incarico avrebbe ovviamente bisogno di un ufficio senatoriale che dovrebbe organizzare anche le attività legislative del Senato. Insomma, i risparmi sarebbero sicuramente inferiori a quelli annunciati.
Renzi parla di 1 miliardo di euro.
Renzi quando parla di questa cifra fa un discorso più ampio, che comprende anche le province. I nostri calcoli (relativi alla diminuzione dei senatori e deputati) parlano di una cifra superiore a quella del disegno governativo.
Il premier ha sempre detto che se fallisce con la riforma del Senato “molla tutto”, ponendovi dunque – seppur implicitamente – la fiducia. Questa vostra mossa non è un atto di sfiducia?
Ma no, non è assolutamente così. Quando si parla di Costituzione si parla dei massimi principi che regolano il governo dello Stato. Sulla nostra Carta siamo pronti, insieme, ad approfondire, a discutere, a valutare e a votare. Non c’è alcuna preclusione in nessun senso. Siamo pronti a confrontarci non solo sul disegno di legge del governo, ma anche sulle sette-otto bozze presenti a Palazzo Madama.
Ma la vostra proposta ha possibilità di passare? Quanti siete a sostenerla?
Quando si propone un ddl su una materia specifica si confrontano sempre (prima nelle commissioni e poi in Parlamento) più disegni di legge. In un secondo momento si arriva alla configurazione di un testo base sul quale fare emendamenti. Lì si vota e si vede qual è la soluzione migliore. Per quanto riguarda la nostra proposta, questa è stata sottoscritta da 22 senatori del Pd.
Civati ha avanzato un suo modello. Non era forse meglio tenere unita la minoranza del Pd?
Non è questo il punto. Ogni parlamentare può presentare il suo e la discussione è stata calendarizzata per il Senato. La nostra proposta (che va al di là del periodo congressuale) è stata firmata da varie aree: è il contenuto, infatti, che deve essere valutato. Non è problema di scontro o guerra o chissà che altra cosa. Noi vogliamo che venga discusso il merito per trovare la miglior soluzione.
In vista del voto in aula, cosa pensa che voteranno i senatori del Movimento 5 Stelle? Il gruppo misto pare che sosterrà la riforma targata Renzi.
Di quello che faranno i 5 Stelle non ne ho idea, bisognerebbe chiederlo a loro. È possibile che il gruppo misto, e non solo, lo voterà, ma credo sia ancora presto. Il ddl del governo, infatti, deve ancora arrivare in Senato; lo stesso lavoro preliminare della commissione deve iniziare, cosa che non è ancora successa. Dopo gli emendamenti, al momento del voto in aula, vedremo cosa succederà.
(Fabio Franchini)