Ogni giorno aumenta il numero dei disegni di legge costituzionale di riforma costituzionale che vengono presentati in Parlamento. Notizie di stampa riportano continui assestamenti o modifiche sostanziali al disegno di legge, centro del dibattito, ossia quello presentato dal Governo.
Le principali discussioni sono incentrate sul metodo di scelta dei componenti del Senato e sulle funzioni che devono essere attribuite a tale organo. Sullo sfondo, poi, vi è la determinazione delle competenze delle Regioni e i relativi rapporti con lo Stato, tema questo non sempre percepito come un problema unitario con il primo, ma frutto di una scelta ulteriore.
Per quanto attiene al sistema di nomina dei componenti del Senato le ipotesi in gioco sono plurime: 1) Senato di nomina indiretta, rappresentativo di Regioni e Comuni, con membri di diritto (presidenti di Regione e di Province autonome e sindaci dei comuni capoluogo) e membri nominati dal Consiglio regionale e/o dai Consigli delle autonomie locali (ipotesi originaria del Governo); 2) Senato eletto direttamente dai cittadini (ipotesi dei dissidenti Pd, Chiti); 3) Senato in parte eletto direttamente ed in parte composto da membri di diritto (proposta Civati).
Nessuna di queste proposte sembra raggiungere il consenso unanime, né all’interno del governo, né delle altre forze (e in particolare di Berlusconi) che devono necessariamente partecipare alla formazione di tale accordo.
La legge elettorale teoricamente potrebbe essere approvata anche dalla sola maggioranza governativa, ma la Costituzione sicuramente no, sia per le maggioranze qualificate richieste, sia perché la Carta costituzionale deve essere frutto della condivisione del maggior numero di forze politiche in campo.
Si sta pertanto cercando un compromesso. Una prima proposta intermedia ipotizza che, in occasione dell’elezioni regionali da parte del corpo elettorale, alcuni dei consiglieri vengono designati come senatori e poi sia il Consiglio a scegliere chi, fra i designati, dovrà andare a Palazzo Madama. O, ancora, si ipotizza che in occasione delle elezioni regionali i cittadini dovranno scegliere sia i consiglieri, sia i candidati aspiranti a diventare senatori all’interno di un listino collegato. Si vuole, in altre parole, coniugare la rappresentanza regionale e degli interessi regionali con la scelta da parte dei cittadini ed evitare quindi una Camera fatta di nominati.
Ha un senso questo compromesso? Ha un senso unire insieme elezione diretta-elezione indiretta?
Innanzitutto c’è da segnalare che se tante erano state le critiche contro il procedimento di revisione costituzionale delineato dal governo Letta con l’istituzione di un Comitato per le riforme costituzionali, l’attuale riforma sembra fatta nelle segreterie di partito e comunque lontano dal Parlamento. Quando ci sarà l’accordo su una soluzione, i parlamentari ne dovranno prendere atto e non potranno introdurre significativi emendamenti.
Il compromesso deve essere una sintesi delle volontà contrapposte, ma deve rispondere ad una logica unitaria: il Senato deve avere la funzione di risolvere i problemi fra centro e periferia, ma in primo luogo ha come obiettivo quello di dirimere i conflitti di competenza fra Stato e Regioni per quanto attiene la funzione legislativa, con effetti anche sulla funzione amministrativa, così da evitare il permanere delle incertezze e la necessità di dover ricorrere alla Corte costituzionale. Pertanto il nuovo Senato deve essere formato da soggetti che conoscono le realtà locali e siano parte integrante degli interessi che vanno a tutelare.
Di conseguenza la parte prevalente delle funzioni di questo organo dovrebbe essere quella attinente all’approvazione di leggi che riguardano le competenze regionali. In altre parole il Senato avrebbe caratteristiche assimilabili all’attuale sistema delle Conferenze (Stato/regioni e unificata) non con un rapporto esclusivo con il governo, ma come parte integrante della funzione legislativa, così da arrivare all’approvazione di leggi statali condivise. Tutto ciò presuppone che i futuri Senatori siano portavoce degli interessi delle proprie Regioni e che conoscano anche le problematiche politiche e legislative interne. La critica dei Senatori “doppio-lavoristi” (Senato e Regione) è quindi facilmente superabile, in quanto solo coloro che conoscono i problemi interni alle Regioni possono anche farsi portavoce esterni.
Il disegno di legge originario del governo aveva una sua logica unitaria, ma se introduciamo soggetti eletti contestualmente alle elezioni regionali, diversi da quelli che effettivamente svolgono la funzione di consiglieri regionali e sindaci, come potranno essere rappresentativi di quegli interessi e assicurare che le loro decisioni siano anche accolte e recepite nelle comunità locali?
L’introduzione di soggetti esterni ai Consigli o soggetti eletti direttamente ha come fine non dichiarato quello di ampliare le competenze senatoriali all’approvazione di altre leggi, come indicato nella proposta Chiti. Il Senato non deve avere altre funzioni ed in particolare non può e non deve interferire sulle leggi che tutelano i diritti, in quanto si tratta di leggi che possono influire sul bilancio dello Stato e quindi sull’indirizzo politico che non è di competenza del Senato.
Se quindi il metodo di scelta dei senatori deve rispondere ad una logica unitaria, l’ultima proposta avanzata dal Presidente del Consiglio, di affidare ad ogni singola Regione la possibilità di legiferare sulle modalità di elezione dei propri senatori, fa venir meno il presupposto dell’unitarietà del fine e, forse, l’essenza stessa del Senato.