E compromesso sia. Matteo Renzi, dopo l’incontro con Giorgio Napolitano, apre alla minoranza del Pd che sta cavalcando il ddl Chiti in risposta a quel ddl Boschi che non piace troppo neanche in casa dem. Il presidente del Consiglio, che è sempre apparso poco disposto a trattare su una questione alla quale ha legato a doppio filo il suo futuro politico, sembra ora prossimo a una sintesi che metta tutti (o quasi) d’accordo. In attesa che si giunga alla stesura di un testo base e si capisca se il Senato sarà – tra le tante cose – elettivo o meno, Stefano Folli, editorialista de Il Sole 24 Ore, analizza l’attuale quadro politico, nonché lo stato di salute delle riforme, nel nome del capo dello Stato (“di dimissioni ne parliamo nel 2015”) e del voto (“decisivo”) del 25 maggio per il rinnovo del parlamento europeo.
Facciamo il punto sulla riforma del Senato. L’assemblea del Pd di martedì mattina si è conclusa positivamente in un clima costruttivo (stando alle parole dei protagonisti). Lo stesso Vannino Chiti ha parlato convergenze, dicendo come il premier abbia recepito una serie di profonde modifiche.
Sì, si sono fatti dei passi in avanti. La cosa più importante e urgente era mettere un po’ di ordine dentro il Pd. Non c’era la possibilità che Renzi potesse ottenere qualsivoglia risultato avendo il proprio partito così diviso e incerto. La tessitura che si è fatta in questi giorni ha aiutato sicuramente a serrare le fila, trovando un punto d’equilibrio, ma da qui a dire che i problemi sono tutti risolti ce ne corre.
Dunque si è quasi ricucita la distanza tra Renzi e la minoranza del suo partito: quale bozza base dobbiamo aspettarci?
Calma: si tratta di questioni politiche, più che di merito (sul quale si può trovare sempre un accordo, a patto che ci sia la volontà di volerlo). Non è il solo Pd che ha la chiave di volta delle riforme. C’è un insieme di rapporti parlamentari che devono ancora essere chiariti e definiti, e dubito che lo siano prima delle elezioni europee. Anche se si giungerà a una lettura in prima istanza di un testo (in totale sono quattro…), i suoi nodi di fondo dipenderanno infatti dal risultato che uscirà dalle urne a fine maggio.
Cosa potrebbe succedere?
Se il risultato fosse tale da sconvolgere gli equilibri politici generali, è evidente che l’intero progetto delle riforme ne risentirà. I dem sembrano avviati a ricevere una conferma della loro solidità (che è comunque da verificare), ma il patto deve passare all’esame dell’intero Parlamento, magari all’indomani di un quadro politico rivoluzionato. Già adesso – in periodo di piena campagna elettorale – l’alleanza Renzi-Berlusconi non regge. Insomma, prima aspettiamo il voto, poi vediamo se queste quattro letture daranno risultati soddisfacenti. Non escludo certo il caso che si rimetta tutto in discussione.
Qual è la situazione interna al Pd? Quiete o calma apparente?
Anche qui dipenderà tanto dal 25 maggio. Renzi è destinato ad avere un risultato soddisfacente, ma il punto vero sarà conoscere la reale distanza tra Il Pd e il Movimento 5 stelle, la cui dimensione elettorale è indecifrabile. Se Grillo si dovesse avvicinare (e molto) ai democratici suonerebbe molto forte un campanello d’allarme. Parallelamente, bisogna vedere dove si attesterà Forza Italia; non dimentichiamoci che tutta questa impalcatura era stata concepita per avere due poli: centro-destra e centro-sinistra. Se i pentastellati diventassero la seconda forza cambierebbero le regole del gioco.
Gli animi della minoranza Pd rimangono comunque accesi e di mal di pancia non si placano?
Ma non è questione di mal di pancia. Si sta facendo un progetto molto ambizioso e delicato quale la riforma della Costituzione; è un qualcosa che non si può affrontare a colpi di talk show televisivi. Il tutto, poi, poggia su una situazione economica molto difficile in cui il governo sta prendendo misure non semplici, e (come se non bastasse) in tempo di campagna elettorale. È questione che c’è un partito – che ambisce a essere maggioranza – che è arrivato a questi appuntamenti subendo passaggi interni duri e travagliati (l’avvento di Renzi e il cambio di governo) che creano traumi politici. Ripeto: gli assetti si devono consolidare e il risultato elettorale avrà un effetto determinante sui dem (e su tutte le altre compagini).
Renzi come ha gestito la spaccatura?
Molto male all’inizio, e bene da quando il presidente della Repubblica l’ha chiamato e in maniera discreta – ma chiara – gli ha indicato una strada diversa da percorrere, ossia quella della mediazione.
Precedentemente aveva mezzo minacciato le elezioni anticipate. È stato bluff? E se non lo fosse… con che legge?
Se non passa la riforma del Senato viene meno tutta la sua strategia: sarebbe un fallimento politico clamoroso. Ma queste frasi al condizionale non vanno prese sul serio. Son cose che si dicono…
Torniamo a Giorgio Napolitano, che torna di nuovo protagonista della partita riforme con queste consultazioni. Qual è il suo scopo e verso dove sta traghettando le riforme?
Il capo dello Stato ha svolto per anni un ruolo di equilibrio e garanzia del sistema. Questo era più evidente quando c’erano i governi tecnici, mentre con l’esecutivo politico di Matteo Renzi era sembrato oscurarsi questa compito di baricentro del Quirinale. Adesso, invece, si vede bene come il nostro sistema istituzionale abbia bisogno di questa funzione bilanciante. Ciò non significa cambiare la natura del governo – che resta quello che è, fortemente politico e con un premier di totale personalità –, però si è dimostrato che la mediazione si svolge meglio a livello istituzionale. Si tratta di un aspetto su cui riflettere in ottica futura di rapporti tra Colle e potere esecutivo.
Grillo e Berlusconi lo attaccano sempre di più e sempre più frontalmente. Perché? Pensano che si stia indebolendo e cercando di dargli il colpo di grazia?
È tutt’altro che indebolito. Lo fanno perché attaccando Napolitano si mette in discussione questo stesso baricentro. Chi vuole modificare l’assetto istituzionale, correggendone la struttura di fondo, deve puntare il dito contro il vertice: è un’anomalia molto pericolosa. Oltretutto il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia presso l’Europa: essendoci forte euroscetticismo in queste elezioni, ecco che c’è chi si scarica su Quirinale.
Ma la fine del mandato è vicina?
Non è un argomento all’ordine del giorno: se ne riparlerà l’anno venturo, al termine del semestre italiano alla guida dell’Unione Europea.
(Fabio Franchini)