La Corte costituzionale sarà nuovamente chiamata a pronunciarsi sulle leggi elettorali, stavolta del Parlamento europeo. Anche in questa occasione, un giudice ha sollevato la questione di costituzionalità sulla base di un’azione di mero accertamento. Si tratta di quel particolare meccanismo già sperimentato positivamente con il cosiddetto Porcellum, e per di più da parte degli stessi richiedenti. E ancora, la normativa elettorale è stata impugnata sempre per la presenza di un meccanismo – nella specie, la soglia di sbarramento del 4% – di cui si critica la coerenza con la piena rappresentatività dell’organo elettivo e il fatto che non risponderebbe a quelle esigenze di “governabilità” che giustificano una qualche distorsione del sistema proporzionale.
La principale ed essenziale differenza è che la questione di costituzionalità sulla normativa elettorale per i nostri rappresentanti nel Parlamento europeo, è stata sollevata prima delle elezioni. Dunque si pone il problema dei possibili effetti di un’eventuale dichiarazione di annullamento della soglia di sbarramento: potrà la Corte costituzionale pronunciarsi prima dello svolgimento delle elezioni europee? La sua eventuale sentenza di accoglimento potrà avere effetto sull’esito del voto e dunque sulla composizione del Parlamento europeo?
Al di là dei problemi sull’ammissibilità di tale nuova questione di costituzionalità sulle leggi elettorali – la Corte, infatti, dovrà verificare la sussistenza delle condizioni enunciate nella sentenza n. 1 del 2014 – si dovranno affrontare questioni non facili circa i termini che scandiscono il processo costituzionale e che, anche se ridotti, non possono consentire di giungere ad una decisione in tempi così ravvicinati. Peraltro, si potrebbe sostenere che se tali termini sono per lo più stabiliti a garanzia delle parti, una deroga sarebbe giustificabile se queste vi acconsentissero. Ma si tratterebbe di una procedura extra ordinem e dunque non facilmente introducibile in via pretoria. A tacer d’altro, poi, si dovrebbe incidere con decisione sull’agenda già fissata dalla Corte, con ciò che consegue sullo slittamento degli altri procedimenti. E ancora, la Corte costituzionale non può neppure disporre della possibilità di sospendere l’efficacia della normativa che è oggetto del suo giudizio, dato che ciò è ammesso soltanto nei procedimenti in via d’azione.
Insomma, non pochi ostacoli procedurali si frappongono a una decisione immediata, anche soltanto cautelare, ma non può escludersi del tutto che una sentenza di poco successiva al voto possa incidere sull’esito concreto delle votazioni.
Dal punto di vista del merito della questione, però, si può nutrire qualche dubbio sull’esito positivo dell’impugnativa, proprio sulla base della precedente rappresentato dalla sentenza sul cd. Porcellum; e ciò anche tenendo conto di una recente pronuncia del Tribunale costituzionale tedesco che ha annullato la soglia ancor più bassa (il 3%) che era prevista dalla legge elettorale vigente in Germania per l’elezione dei relativi rappresentanti al Parlamento europeo.
Infatti, a differenza del giudice tedesco, la nostra Corte costituzionale ha argomentato non i termini quantitativi – cioè imponendo o cancellando determinate soglie numeriche – ma esclusivamente in termini di ragionevolezza. Se, come crediamo, la Corte continuerà a ispirarsi a tale logica argomentativa, nel caso di specie la soglia del 4% potrebbe apparire non sproporzionata, e dunque mantenuta presente.
Ciò che, però, deve preoccupare è il fatto che si andrà al voto con l’incertezza del sistema elettorale che sarà effettivamente applicato, e tale incertezza è ancor più grave perché riguarda la presenza di quell’unico meccanismo – la soglia del 4% – che condiziona non poco la decisione di coloro che potrebbero votare i partiti che nei sondaggi sono stati indicati al di sotto o al limite della predetta soglia. Forse una parola chiara e netta da parte della stessa Corte costituzionale, almeno circa la tempistica e gli effetti di una possibile pronuncia, potrebbe essere utile prima del voto europeo.
Tutto ciò dimostra come la strada dell’accesso alla Corte costituzionale mediante le azioni di mero accertamento stia schiudendo possibilità che per il sindacato di costituzionalità sinora erano inimmaginabili. Non si deve criticare questa prospettiva soltanto perché ne derivano difficoltà e problemi che, come visto, si stanno sin da subito sperimentando in ragione della necessità di escogitare nuovi strumenti che ne consentano una corretta applicazione. L’ampliamento degli spazi della giustizia costituzionale, infatti, va salutato con favore, perché implica la riduzione di quegli ambiti della legislazione che sono rimasti immuni dal controllo di costituzionalità, vere e proprie zone franche.
La più estesa applicazione della Costituzione per il tramite del giudizio di legittimità costituzionale non va allora considerata con pregiudizio o timore. Anzi, si possono anche ipotizzare applicazioni ulteriori e ancor più avanzate del predetto meccanismo di accesso che è rivolto ad annullare quelle lesioni dei diritti costituzionali che derivano direttamente dalla legge.
Ad esempio, si potrebbe utilizzare questa più facile modalità di accesso alla Corte costituzionale per far verificare se le leggi rispettano davvero il contenuto essenziale dei diritti inviolabili di carattere economico o sociale che recentemente sono stati compressi in nome di esigenze finanziarie e di bilancio che, invece, potrebbero essere perseguite seguendo modalità costituzionalmente più corrette. O, ancora, si potrebbe chiedere alla Corte costituzionale di accertare – finalmente, potremmo dire – se le normative nazionali dettate in attuazione dei vincoli europei rispettano davvero i diritti inviolabili e i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, diritti e principi che sinora sono rimasti “contro-limiti muti” rispetto alle limitazioni di sovranità riconosciute a favore dell’ordinamento comunitario con qualche eccessiva disinvoltura. La fantasia dei giuristi è messa alla prova; il rispetto della Costituzione potrà giovarsene.