“Lo stato dell’Unione europea” è il titolo del dibattito che si appena concluso a Firenze. Organizzato dalla corazzata Maggioni, direttrice di RaiNews, in collaborazione con l’Istituto universitario europeo, ha presentato un format di fastidiosa anti democrazia trasmesso in diretta via satellite e in digitale terrestre, oltre che in streaming. La regola di base del dibattito democratico tra opposte visioni e idee è stato impedito, creando due momenti separati, i buoni e i cattivi, che depone molto male per il futuro democratico dell’Unione europea. Non si capisce come e perché il servizio pubblico televisivo italiano possa permettersi questo scempio della democrazia con l’aggravante della presenza del presidente Napolitano e di vari ministri. Buffo, se non ridicolo, è che i candidati si dovessero esprimere in lingua inglese invece di usare le lingue nazionali. La diretta, con la traduzione in italiano, non sembra essere stata ripresa da altri canali all news europei. Un’altra marchetta pro Pd renziano?
Anche questa volta sembra che il greco Alexis Tsipras, capolista de “l’altra Europa”, abbia deciso di rinunciare. Invece, il prossimo 15 maggio si terrà in Eurovisione da Bruxelles un dibattito con tutti i candidati Presidenti della Commissione europea tradotto in simultanea in 23 lingue e trasmesso in diretta in 28 Paesi, più Canada e Ucraina, grazie ai network di tutte le tv pubbliche europee. Vedremo quindi anche i candidati considerati critici o contrari al progetto europeo? Ovvero: la francese Marine Le Pen, del Fronte Nazionale; il greco Alexis Tsipras, capolista de l’altra Europa; il britannico Nigel Farage del partito per l’indipendenza (Ukip); l’italiano Beppe Grillo del M5S Europa; e i tanti altri candidati da più piccoli paesi europei.
Gli invitati al dibattito appena conclusosi a Firenze erano solo uomini e solo dei partiti ritenuti “europeisti”: il noto ex ribelle agricolo francese José Bové, uno dei due candidati (l’altro è la verde tedesca Ska Keller) per il partito europeo dei Verdi; il noto libraio tedesco che è stato presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, per il Partito europeo dei socialisti (Pse) al quale ha aderito il Pd renziano; lo stranoto lussemburghese Jean-Claude Juncker, già presidente per i passati 10 anni dell’Eurogruppo, per il partito europeo dei Popolari; e l’ex primo ministro belga, il liberale Guy Verhofstadt, per il partito europeo dei Liberali. Conduttori sono stati Monica Maggioni (RaiNews) e Tony Barber (Financial Times). Salone dei 500 di Palazzo Vecchio gremito, con la presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e dei ministri Maria Elena Boschi e Federica Mogherini.
Sul piano sostanziale il dibattito è stato assai deludente. In questo era eloquente l’espressione del viso del presidente Napolitano che, seduto accanto alla giovane Mogherini, sembrava non vedere l’ora di lasciare il consesso. Ma veniamo ai contenuti.
Sulle questioni economiche ciascun candidato ha presentato la sua retorica elettorale. Schulz (Pse) si è distinto sulla lotta all’evasione fiscale e sulla guerra ai paradisi fiscali. Sugli errori madornali della gestione economica e finanziaria dell’uscente Commissione Barroso tutti erano d’accordo nel dichiarare che si poteva fare meglio. Si è distinto Verhofstadt (Alde) che ha criticato la scelta di creare soluzioni al di fuori dei Trattati europei. Paradossalmente il popolare Juncker e il verde Bové hanno tenuto gli stessi accenti sui giovani e sulla crescita. Insomma, nulla di nuovo e nulla di utile per cambiare l’Unione europea.
Sulla politica estera si è tenuto un dibattito surreale, visto che il Parlamento europeo non ha quasi alcuna competenza in materia (essendo nelle mani dei governi nazionali riuniti nel Consiglio europeo). Schulz (Pse) ci ha intrattenuto con chiacchiere sullo sviluppo sostenibile e apprezzamenti per l’operato dell’attuale Alto commissario europeo per la politica estera e di sicurezza, la britannica Catherine Ashton imposta dal governo laburista di Tony Blair. Sulle politiche di immigrazione tutti si sono dichiarati contro l’immigrazione clandestina e la necessità di un nuovo sistema di immigrazione. Si è distinto Bové (Verdi), che ha ricordato quanto sia necessaria un’immigrazione controllata per far ripartire l’economia europea in un continente demograficamente vecchio.
Sul Medio Oriente si sono sentite una marea di sciocchezze. Bové (Verdi) ha detto che in Siria possiamo far nulla perché c’è una dittatura, invece Schulz (Pse) ha detto che dobbiamo restare ancorati agli accordi di Oslo per la Palestina, e Juncker (Ppe) ha dichiarato che non ci saranno grandi cambiamenti rispetto al passato. Si è distinto Verhofstadt (Alde) che ha indicato nell’accordo di libero scambio con gli Usa la via per lo sviluppo di un’economia “atlantica” che permetterà di rimodulare le allocazioni del budget europeo oltre l’agricoltura.
Infine, tutti si sono appellati a risolvere il problema della disoccupazione e dei giovani e del lavoro. Verhofstadt (Alde) ha lanciato un fastidioso appello agli elettori italiani perché votino a favore dell’Europa e contro i populismi (in italiano)!
Un passaggio del dibattito che ha colpito è stato quello relativo alla medaglia di democraticità tra le istituzioni europee, particolarmente tra il Parlamento e il Consiglio europeo. Tutti i candidati ritenevano che solo i candidati espressi dal Parlamento europeo siano democratici, senza prendere in considerazione che anche i governi dei paesi europei, e quindi i loro rappresentanti nel Consiglio, sono espressione di scelte popolari democratiche. Una bizzarra maniera di sollevare uno scontro istituzionale tra istituzioni europee! Inoltre, tutti si sono detti “arrabbiati” se i governi decideranno per un presidente della Commissione europea che non sia uno di loro. Peccato che costoro ignorano le parole del Trattato di Lisbona che impone ai governi di “tener conto dei risultati delle elezioni europee quando propongono il nuovo presidente della Commissione. Quest’ultimo dovrà poi essere votato ed eletto dal Parlamento europeo”. Nessun obbligo, cari signori candidati!
In conclusione si vede un’immagine di un’Europa sbiadita e insensata, che propone ai vertici dei signori stanchi e vecchi che non vogliono mollare la presa sulle lucrose poltrone europee. In questo modo, l’Europa non potrà che avere un futuro assai inglorioso, e ci addolora profondamente.
Le colpe non sono da attribuire ai quasi 50% di astenuti che proiettano i sondaggisti e neppure a coloro che in modo diverso, e anche criticabile, esprimono risentimento e scetticismo rispetto a questa Europa. La responsabilità del declino europeo viene dal suo interno, dalla nomenclatura, dai “mandarini”, dagli eletti addomesticati o incapaci di esprimere delle idee nuove, utili e progressive perché l’Unione europea diventi un asset per i suoi popoli e un esempio per il resto del mondo. Cari signori candidati, la responsabilità è solo vostra.