ELEZIONI EUROPEE 2014. L’Europa ha fatto emergere l’idea della libertà – dell’uomo come della sua opera. Ad essa soprattutto incomberà, nella sollecitudine per l’umanità dell’uomo, pervenire alla libertà anche di fronte alla sua opera.

Romano Guardini 

Il 25 maggio 400 milioni di elettori in 28 nazioni dovranno eleggere 751 membri del Parlamento Europeo. Anche se l’Europa viene spesso percepita come una realtà “lontana” ed “estranea” queste elezioni saranno decisive per la nostra vita sociale, economica e politica. 100 anni dopo l’inizio della Grande Guerra, 75 anni dopo l’inizio della Seconda Guerra e 25 anni dopo il crollo del Muro di Berlino, l’Unione Europea è oggi uno spazio di libertà politica e di pace che favorisce la stabilità democratica e lo stato di diritto. Solo una pericolosa superficialità può dare per scontato questo sviluppo e mettere a rischio una delle più grandi conquiste della storia, enfatizzando polemicamente dei problemi che certamente esistono, ma che non possono giustificare né indifferenza né ostilità. Proprio la gravità dei problemi richiede un approccio ragionevole e tenace che non cede all’inganno di populismi e personalismi che promettono soluzioni non sostenibili, ripiegano nella vecchia ricetta di dirottare l’attenzione su un nemico esterno. Tanti problemi politici, finanziari, economici e ambientali sono complessi e difficili da affrontare. Questo richiede a tutti gli attori pubblici, in primis ai politici, ai rappresentati della società civile e ai media, di comunicare con trasparenza le ragioni e le conseguenze delle proprie posizioni, di facilitare la comprensione di materie complesse, di evitare riduzioni e insinuazioni ideologiche.



PIÙ TRASPARENZA, MENO TECNOCRAZIA

È decisivo che l’Unione Europea non si limiti a una guida troppo intergovernativa, ma riconosca più potere al Parlamento Europeo come espressione democratica dei cittadini. L’elezione del Presidente della Commissione e il diritto di iniziativa legislativa sono passi importanti in questa direzione. In questo modo la Commissione potrà occuparsi con autorità politica – e non solo in una forma “tecnicamente neutrale” – di materie in cui questa neutralità da tempo non è più reale. Una maggiore trasparenza dei processi decisionali e una chiara identificazione delle responsabilità tra i vari soggetti istituzionali avrebbe come esito anche il ridimensionamento della tecnocrazia.



Il principio di sussidiarietà – riconosciuto ufficialmente dall’Unione – deve preservare le singole nazioni da ingerenze inadeguate e i parlamenti nazionali dovrebbero, ove necessario, esercitare la loro prerogativa per la salvaguardia di questo principio.

UNA POLITICA ESTERA PIÙ UNITA E INCISIVA

Gli ultimi mesi hanno reso ancor più evidente la necessità di una politica estera europea più unita, più incisiva e più tempestiva. L’Unione deve mettersi in condizione di parlare con una voce sola, forte e riconosciuta di fronte alle emergenze internazionali, quelle vicine ai propri confini come quelle più lontane, superando i particolarismi nazionali che rischiano di ostacolare un’Europa più decisiva nello scenario mondiale. Non si possono lasciare soli quei popoli che vengono colpiti nei loro diritti fondamentali. Per sostenere i paesi in via di sviluppo devono anche essere incrementati i progetti per la cooperazione internazionale.



 

CREARE OCCUPAZIONE CON LA CRESCITA

La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio del 1951 ha utilizzato l’economia come strumento per favorire una collaborazione politica per la pace e la libertà. Anche oggi, come allora, l’economia deve essere considerata non come fine unico dell’Unione, ma come un mezzo importante.

Senza farne diventare un idolo, la crescita economica deve essere favorita per creare occupazione – soprattutto per i giovani – sostenere il welfare e le politiche sociali, garantire istruzione e ricerca e ridurre il debito pubblico.

Una delle condizioni è centrare l’obiettivo dell’Industrial Compact, con il raggiungimento del 20% del Pil europeo dal manifatturiero entro il 2020. Inoltre, occorre rimanere orientati ai principi dello Small Businnes Act, come valorizzazione delle piccole e medie imprese, ossatura del sistema economico europeo ed è auspicabile che si rafforzi la collaborazione fra imprese a livello europeo.

Non bisogna dimenticare che in Europa abita l’8% della popolazione mondiale, che genera oggi il 25% del Pil, ma anche il 50% del welfare globale.

REALIZZARE L’UNIONE BANCARIA

La crisi dell’Euro è nata dall’intreccio tra la crisi finanziaria e il debito pubblico delle singole nazioni.

La reazione dell’Unione a questa crisi è stata troppo lenta e disarticolata. Da questo fatto bisogna trarre le dovute conseguenze. È necessario un graduale, ma consistente adeguamento reciproco delle politiche finanziarie ed economiche.

Per garantire un sistema bancario capace di sostenere la crescita, evitando che il rischio delle banche possa essere riversato sui cittadini, è urgente procedere con la realizzazione dell’Unione Bancaria. Sono necessarie, inoltre, nuove regole chiare ed efficaci per il controllo dei mercati finanziari e delle agenzie di rating.

ALLENTARE I VINCOLI

Per favorire la crescita occorre una maggiore flessibilità nell’applicazione del Patto di Stabilità attraverso negoziati realistici e audaci e l’applicazione della “golden rule” che prevede di detrarre dal calcolo del rapporto deficit/pil gli investimenti in infrastrutture strategiche. A chi realizza riforme incisive dovrà essere riconosciuta una maggiore elasticità nell’applicazione dei vincoli di bilancio europei. Questo non toglierebbe, anzi, incentiverebbe il compito insostituibile di ogni Stato di diminuire la spesa pubblica, semplificare la burocrazia e ridurre gli eccessi di tassazione.

COMBATTERE IL POPULISMO

Chi, invece propone, in modo populistico, di finanziare la crescita con ulteriori debiti, deve dire anche che ciò comporterebbe costi aggiuntivi per il pagamento degli interessi, una rinnovata debolezza dell’Italia sui mercati finanziari e, in definitiva, debiti ancor più pesanti sulle spalle dei nostri figli.

ATTUARE LE RIFORME

L’Unione Europea, il più grande mercato unico al mondo, ha bisogno di una maggiore e più rapida integrazione delle politiche energetiche, climatiche, ambientali e della ricerca. Proprio in questi settori si palesa l’insufficienza delle iniziative nazionali e la necessità di un’integrazione europea. Anche dal punto di vista della burocrazia, l’avvenuta riduzione da 150.000 norme industriali presenti in Europa a 19.000 valide in tutti i paesi dell’Unione dimostra che è possibile creare misure comuni, utili per tutti.

La Politica Agricola Comune, nata nel 1962, è stata la prima politica europea e lo è ancora oggi in termini finanziari, coprendo il 38% del bilancio dell’Unione. Si tratta di una politica spesso tortuosa ma senza di essa lo spopolamento e la desertificazione imprenditoriale delle zone rurali sarebbero stati inarrestabili, come avviene in tante parti del mondo, peggiorando la pressione urbana. Superando le logiche del “sussidio”, che spesso hanno favorito la rendita fondiaria, occorrono nuove forme di sostegno alle imprese che creano occupazione e uno sviluppo rurale attento all’ambiente.

VALORIZZARE IL WELFARE

Per quanto riguarda il sistema del welfare, sta emergendo anche nelle istituzioni dell’Unione Europea l’evidenza che ad esso non possano essere applicate rigidamente le norme scritte per tutelare la libera concorrenza. Le regole in materia di servizi non colgono e non valorizzano in modo adeguato la molteplicità e diversità di soggetti privati che svolgono a tutti gli effetti un ruolo di interesse pubblico.

È pertanto di fondamentale importanza che esse siano rappresentate adeguatamente in ambito europeo, forti anche dell’importante ruolo di contenimento della crisi e di argine rispetto a emergenze sociali giocato di recente e con successo.

FAVORIRE LA LIBERTÀ DI EDUCAZIONE

È ormai chiaro che educazione e istruzione sono fondamentali per lo sviluppo culturale, politico, sociale ed economico e per assicurare ai cittadini una formazione completa e solide basi per operare costruttivamente per il bene comune a livello locale, nazionale e internazionale. Ciò significa, concretamente, sviluppare sistemi educativi differenziati e liberi, sostenendo e diffondendo le migliori esperienze di formazione professionale e di collaborazione tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro. Sin dal 1984 l’Unione Europea si è espressa ufficialmente, e a più riprese, a favore di una forte autonomia delle scuole e della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie, ritenendoli fattori imprescindibili per la realizzazione di una educazione più autentica e di sistemi di istruzione più efficaci. La maggior parte dei 28 paesi aderenti ne ha tratto le dovute conseguenze, mentre Italia e Grecia devono ancora superare antiche resistenze di natura ideologica.

INCENTIVARE L’INNOVAZIONE

La libera circolazione delle persone in Europa ha creato possibilità di relazioni e di collaborazioni altrimenti impensabili. Progetti internazionali incentivano la ricerca e l’innovazione, programmi di scambio permettono a studenti e a diplomati di arricchire la loro conoscenza anche oltre i confini nazionali. Il recente programma Horizon 2020 potrebbe diventare un nuovo riferimento per la facilità della sua applicazione. L’Erasmus+ è un passo decisivo per allargare gli scambi di conoscenze anche ai giovani che non studiano all’università. I fondi erogati attraverso le pubbliche amministrazioni nazionali – come i fondi sociali e in particolare la Youth Guarantee – richiedono un impegno accurato e ben finalizzato per evitare una dispersione o addirittura la perdita di importanti risorse disponibili, come purtroppo succede ancora troppo spesso.

RIAFFERMARE LA VOCAZIONE MEDITERRANEA

L’Italia è il secondo paese manifatturiero europeo e contribuisce, attraverso la sua economia e gli scambi commerciali, in modo decisivo alla forza economica dell’Unione. Senza il “made in Italy” l’Unione sarebbe decisamente più debole. Una parte importante dell’attrattività dell’Europa è dovuta all’Italia per le sue bellezze naturali e la sua ricchezza culturale che non ha paragoni al mondo. Attraverso l’Italia si deve anche riaffermare la vocazione mediterranea dell’Europa abbandonata negli ultimi anni: anche per i paesi del Nord e dell’Est è fondamentale un impegno comune che favorisca lo sviluppo dei paesi del sud del Mediterraneo.

Sempre attraverso l’Italia può instaurarsi un dialogo reale e leale sulle politiche dell’immigrazione e sulla tutela dei confini dell’Unione, nel pieno rispetto dei diritti umani. Questo implica che le politiche e i relativi costi legati al fenomeno migratorio siano condivisi da tutti.

Il prossimo semestre europeo sotto la guida dell’Italia può essere una grande occasione per rilanciare una politica europea più vicina agli ideali dei Trattati di Roma che l’Italia stessa ha firmato nel 1957 come nazione fondatrice. Questo richiede da parte dell’Italia di inviare nelle diverse istituzioni europee i suoi migliori rappresentanti, capaci di dialogare con competenza e lungimiranza.

RISCOPRIRE LA LIBERTÀ

Questi propositi non sono sufficienti né queste prospettive realizzabili senza un cambiamento culturale decisivo. La crisi ha dimostrato che non esiste alcun automatismo politico o economico che garantisca crescita e sviluppo. Tutto dipende dalle persone, dalle loro decisioni, dal loro impegno e dalla loro disponibilità a imparare. La mentalità del “tutto subito” che ha prodotto la débâcle finanziaria e i giganteschi debiti sovrani ha un’origine antropologica e culturale prima che politica.

 

CRESCERE IN RESPONSABILITÀ

Il futuro dell’Europa dipende certamente dalle riforme istituzionali e organizzative dell’Unione e dei singoli Stati ma, prima ancora e molto di più, dalla responsabilità con la quale le persone che vivono in questo continente si dedicano alla ricerca della verità e del bene – e dalla serietà con la quale riflettono sulla propria esperienza per riscoprire la libertà e la responsabilità come linfa vitale di una società civile forte e costruttiva.

La cultura europea ha sempre cercato – nonostante tante contraddizioni – di mettere al centro la persona, la sua libertà e il suo innato desiderio di un assoluto, non colmabile dall’uomo con le sue sole forze. Questa libertà, e la responsabilità che ne consegue, non possono essere né sostituite né imposte da un qualsiasi potere statale, ma solo accolte e vissute da ogni singola persona nella loro evidenza e ragionevolezza. Così gli stati europei e la stessa Unione Europea non possono imporre ciò da cui sono originati: una cultura della libertà e della responsabilità.

COSTRUIRE CON PRUDENZA E AUDACIA

Perché l’Unione o anche i singoli stati non diventino solo una tecnocrazia che si sostituisce alla vita buona dei popoli, i popoli stessi devono riscoprire questa cultura. L’Unione, a sua volta, deve tutelare la libertà e favorire la pace, in modo tale che le persone possano liberamente e responsabilmente creare e lavorare, intraprendere e rischiare, costruire e comunicare, educarsi ed educare. Le istituzioni pubbliche devono garantire, favorire e sostenere, non possono creare, generare e sostituire.

La sfida dell’Unione Europea è enorme ed è cosi importante che non basta enunciare valori e principi della tradizione europea, ma bisogna scoprirli di nuovo nella loro validità e nella loro verità, nella loro origine e nella loro finalità.

Il futuro dell’Europa non può consistere in una massa amorfa di individui tecnologicamente collegati e tecnocraticamente gestiti. Il futuro dell’Europa è dato da persone capaci di costruire sempre e dappertutto con la forza della libertà, la prudenza della responsabilità e l’audacia della carità.

Invitiamo tutti a contribuire allo sviluppo dell’Italia e dell’Europa attraverso il lavoro, attraverso il confronto leale con la sfida di queste elezioni e attraverso il voto a favore di chi si muove per dare voce e rappresentanza a una cultura della libertà e della solidarietà.

Maggio 2014

COMPAGNIA DELLE OPERE