E se, alla fine, la tanto decantata prima prova di democrazia diretta continentale, che promette di consentire una quasi elezione diretta del presidente della Commissione, finisse con un sostanziale pareggio? Nell’imminenza del voto in Italia i sondaggi sono vietati, ma nel resto d’Europa no, e più ci si avvicina alla scadenza elettorale (cominciano giovedì 22 olandesi e inglesi), più sembra concretizzarsi lo scenario di un quasi perfetto equilibrio fra socialisti e popolari nel nuovo Europarlamento. Colpa di euroscettici di centrodestra e eurocritici di sinistra in crescita impetuosa.
Secondo l’ultima rilevazione di Poll Watch (14 maggio) una manciata di seggi separeranno Ppe e Pse nell’emiciclo di Strasburgo, con i popolari accreditati di un vantaggio minimo. Su 751 seggi 212 sarebbero appannaggio dei partiti aderenti al Ppe e 209 al Pse. Nessuna maggioranza chiara, quindi, e lontanissima la soglia della maggioranza assoluta. L’unico scenario plausibile è quello della grande coalizione, alla tedesca, in nome dell’ideale europeo. È praticamente inevitabile, per assenza di alternativa: non è neppure lontanamente immaginabile la costituzione di coalizioni di area. Popolari e conservatori sono lontanissimi dalla maggioranza assoluta, uno schieramento di socialisti, verdi, liberaldemocratici arriverebbe a stento alla quota necessaria, e solo grazie ai voti della sinistra unitaria.
Nelle stanze brusselesi di questa grande coalizione, che anche romano Prodi dà per scontata, si sta già parlando. Le variabili da stabilire, nel voto e dopo, sono però due. La prima è chi avrà la maggioranza relativa, e quindi potrà rivendicare la guida della commissione. La seconda è se la grande coalizione sarà a due, oppure a tre. Sula carta popolari e socialisti insieme raggiungono la maggioranza, ma l’europarlamento è un’assemblea particolare, dove le appartenenze partitiche sono deboli, e spesso prevalgono gli interessi nazionali (tranne nel caso dei rappresentanti italiani). Da qui la possibilità che la coalizione si allarghi ai liberaldemocratici, per avere un margine di sicurezza ragionevole.
Per la marea montante euroscettica, valutata intorno ai 160 seggi (con una cinquantina di ulteriori parlamentari espressi dalla sinistra di Tsipras) sarebbe una prima vittoria. E i partiti tradizionali si troverebbero a dover fugare i timori di un accordo al ribasso, tipico delle grandi coalizioni. Altrimenti il malcontento non potrebbe che aumentare, ed i consensi andare sempre più verso i partiti euroscettici.
In questo scenario i partiti italiani avrebbero margini di manovra estremamente limitati nella nuova assemblea. Forse il più soddisfatto di tutti potrebbe essere Forza Italia: criticatissima dentro il Ppe per le sparate di Berlusconi, e perennemente sull’orlo di una clamorosa espulsione, il pacchetto di seggi azzurri, per quanto molto inferiore ad oggi, potrebbe diventare decisivo per definire la forza di maggioranza relativa.
E questo potrebbe fornire un briciolo di legittimazione in più anche sul piano interno. Alla luce di questa situazione, appaiono meno campate per aria quelle affermazioni dell’ex Cavaliere intorno alla possibilità di ritrovarsi a sostenere nuovamente un governo insieme al Pd. Meno boutade, insomma.
Obtorto collo potrebbe essere uno scenario che persino Renzi si troverebbe a dover prendere in considerazione, specie se il distacco dal Movimento 5 Stelle dovesse essere estremamente contenuto. Fare argine al voto di protesta potrebbe diventare un imperativo categorico a Roma, così come a Bruxelles e a Strasburgo. E allargare la maggioranza potrebbe dare maggiore forza al tentativo di avviare per davvero il treno delle riforme costituzionali. Del resto è stato lo stesso premier a ribadire in più occasioni che soltanto con i fatti la buona politica può rispondere all’antipolitica, e batterla.
A ostacolare questa ipotesi ci sarebbero però tanto la sinistra del Pd, quanto i centristi di Alfano e di Cesa. Entrambi vedono come il fumo negli occhi di ritrovarsi nuovamente a votare insieme a Brunetta, Scilipoti, Razzi e Santanchè.
Sulla barricata opposta, Grillo avrà molte difficoltà a trovare un approdo europeo, ma sul piano interno spenderà il consenso avuto per scardinare gli assetti di maggioranza e tentare di passare all’incasso di un nuovo e ravvicinato voto politico. Non sarà facile rintuzzare una simile spallata, e forse da solo il Pd di Renzi potrebbe non farcela e aver bisogno di una mano.