“Berlusconi è stato a lungo nel mirino di quei poteri forti che avevano interesse, politico ed economico, a destabilizzare l’Italia, ma per ironia della sorte ora si trova a fare il gioco proprio di chi vuole creare instabilità”. Lo afferma Gaetano Quagliariello, coordinatore nazionale del Nuovo Centro Destra, secondo cui “un’Italia più debole e che conta di meno nel concerto internazionale, è un’Italia che, tra l’altro, gioca un ruolo minore per quanto riguarda la grande partita dell’approvvigionamento energetico. In questo modo inoltre i gioielli di famiglia nazionali possono essere più facilmente conquistati”.



Senatore, dove si origina il tentativo dei poteri forti di creare instabilità in Italia?

L’Italia ha una posizione geopolitica per cui in passato quando c’era la guerra fredda trovandosi a essere una portaerei naturale nel Mediterraneo, di fronte ai Paesi dei Balcani che facevano parte del blocco orientale, era difficile immaginare che potesse essere un Paese forte e stabile. Soprattutto dopo la rottura di Tito con Stalin, tanto Usa quanto Urss avevano interesse a indebolire l’Italia per la sua posizione geopolitica. Oggi c’è un residuo di questo passato, ma anche chi ha interesse geopolitico ed economico affinché l’Italia sia instabile, anche perché ciò rende più facile fare affari nel nostro Paese.



Berlusconi è vittima o artefice di questo tentativo di destabilizzare l’Italia?

Nel momento in cui Berlusconi e il Pdl potevano essere una delle componenti di un bipolarismo maturo in Italia, sono stati oggetto di durissimi attacchi, molto spesso veicolati dalla stampa straniera e colpevolmente amplificati dalla sinistra. Ciò non ha mai consentito che nel nostro Paese il bipolarismo diventasse una dinamica ordinaria. Nel momento in cui Berlusconi è diventato debole, molte delle fonti che prima lo attaccavano, oggi operano ricostruzioni che in qualche modo legittimano ipotetici complotti, sempre con il fine di destabilizzare il Paese e renderlo più debole.



Chi altro ha interesse a destabilizzare l’Italia?

Si tratta di interessi diffusi e trasversali. Un’Italia più debole e che conta di meno nel concerto internazionale, è un’Italia che, tra l’altro, gioca un ruolo minore per quanto riguarda la grande partita dell’approvvigionamento energetico. In questo modo inoltre i gioielli di famiglia nazionali possono essere più facilmente conquistati.

Napolitano è stato attaccato di recente in quanto fattore di stabilità?

Sì, e la cosa è paradossale. Napolitano aveva infatti più volte manifestato la sua indisponibilità a un secondo mandato. Poi, di fronte alla prospettiva di una crisi di sistema, lo si è implorato e richiamato a gran voce. Ora, però, alcuni di quelli che lo hanno richiamato iniziano a parlare di un complotto. Dovrebbero essere loro a spiegare questa schizofrenia. 

 

C’è il rischio che le riforme siano minate per questa volontà di mantenere il Paese nell’instabilità? 

 La mancanza di riforme è fonte di instabilità, e la volontà di mantenere l’instabilità è un elemento che rende più difficile fare le riforme. Per questo all’interno di uno schema di governo di emergenza si era pensato che la priorità fosse quella di fare le riforme. Il primo a capirlo fu Berlusconi, che per tanto tempo era stato oggetto di attacchi per creare destabilizzazione. Oggi, però, mi sembra che le riforme siano considerate da Berlusconi e da Forza Italia come qualcosa da utilizzare a fini di parte. Nel momento in cui non c’è più in vista una convenienza, scatta il “contrordine compagni”. 

 

A questo punto come si può imboccare la strada giusta per portare l’Italia fuori dall’instabilità? 

Bisogna perseverare nella volontà di rinnovamento. Dobbiamo dire con chiarezza che riformare lo Stato non significa rottamarlo, perché la coesione sociale è come la salute: ci si accorge della sua importanza quando la si perde. Bisogna inoltre andare avanti con le riforme, lungo la strada di trovare quegli assetti ben registrati dei quali non può fare a meno un sistema che non vuole essere esposto a delegittimazioni e attacchi esterni.

 

(Pietro Vernizzi)