Suonare le campane a morto per Berlusconi e a festa per Renzi o Grillo può essere imprudente. L’esito finale è nelle mani di una valanga del 30 per cento di indecisi che, in queste elezioni imperniate su questi tre leader carismatici, non sembrano molto convinti di tali carismi.
Certamente Berlusconi – tra affidamento ai servizi sociali e scissioni – appare in discesa. Si tratta però di un trend che non è emotivo e può gonfiarsi oppure sgonfiarsi secondo una sua “logica”. Esso è in corso in due direzioni – verso Renzi e verso Grillo – e rispecchia le due “anime” che sempre più a fatica hanno convissuto nel centro-destra. Il “capolavoro” di Berlusconi nel 1994 era stato quello di riuscire a mettere insieme “forcaioli” e “garantisti”: da un lato nuovisti ed estrema destra che avevano inneggiato a Mani Pulite e, dall’altro, gli orfani dei partiti – soprattutto democristiani e socialisti – che ne erano stati vittime. Il Cavaliere era sceso in campo promettendo una “rivoluzione liberale” al tempo stesso sia come “società civile” che faceva piazza pulita dei vecchi partiti, sia come “diga” contro gli ex comunisti. Ma il dualismo rimaneva e ha finito per implodere.
La componente più antipolitica e “nuovista”, ad esempio, legata al giustizialismo ha impedito qualsiasi riforma della giustizia in termini di fuoriuscita dalla legislazione d’emergenza e ha consentito solo la difesa “ad personam” di Berlusconi. Successivamente la rottura con Fini e poi la polemica contro il “socialista” Tremonti hanno visto la leadership del Cavaliere sempre più valorizzare la componente ex missina (Storace-Santanché) che si era opposta alla svolta “antifascista” di An e gli “uomini nuovi” provenienti dalle proprie aziende e a considerare come traditori – o comunque infidi o “vecchi” – gli ex socialisti e democristiani, da Frattini a Sacconi fino a Schifani e Alfano, provocando una diaspora nel conglomerato originario.
Ma anche sul versante nuovista e dell’antipolitica si è poi aperta la seconda falla nel momento in cui il Cavaliere veniva travolto dalle sentenze e, dopo venti anni, presentava un bilancio di promesse non mantenute. Tradimenti, complotti? Può darsi. Ma tradimenti e complotti sono sempre stati lo scenario quotidiano dei nostri capi di governo: da Cavour a Giolitti, da De Gasperi a Craxi. Che non lo abbiano lasciato governare (come sostengono i berlusconiani) o che non abbia saputo governare (come sostengono gli antiberlusconiani) ha poca importanza. Conclusione: il bilancio della leadership governativa berlusconiana è, per sua stessa ammissione, deludente.
Oggi la perdita elettorale dell’ex Pdl è quindi nelle due direzioni: nuovisti e antipolitica verso Beppe Grillo; moderati e liberalsocialisti verso Matteo Renzi. In entrambi i casi abbiamo due “fermate” intermedie per gli elettori provenienti dal centro-destra, al confine con il centro-sinistra: la Lega sulla linea verso Grillo e il Nuovo Centro Destra sulla linea verso Renzi. Berlusconi, considerando Renzi e Grillo “figli” suoi e non volendo guastare i rapporti con la Lega, ha imperniato la campagna elettorale di Forza Italia prevalentemente contro il partito di Alfano: “traditori”, “mascalzoni”, “inutili”, “opportunisti”, ecc. È stato un modo per sottolineare l’opposizione al governo senza però rompere con Renzi.
Risultato: oggi Berlusconi appare abbastanza forte per non consentire una diversa leadership nel centro destra, ma non abbastanza forte per rappresentare una credibile alternativa a Renzi. Come contromisura Berlusconi ha quindi cercato negli ultimi giorni di presentarsi come il leader in grado di riunificare i vari partiti di centro-destra a cominciare dallo stesso Ncd di Alfano. Ma riunire i moderati non è come aggiungere a Canale 5 anche Rete 4 e Italia 1. E cioè: prima bombardo e faccio crollare le azioni, poi compro al ribasso. Quel che per gli investitori è positiva scaltrezza, per gli elettori è negativa inaffidabilità. Soprattutto per i diretti interessati nel momento in cui il Cavaliere non fa mistero di volerli poi “asfaltare”. Il piglio managerial-padronale porta sempre Berlusconi a considerare le vittorie elettorali come l’acquisizione della maggioranza delle azioni di un’azienda di cui essere il plenipotenziario, con gli alleati come soci da tacitare con un dividendo a fine anno. Un modo di fare politica che ha visto sistematicamente le sue vittorie elettorali vanificate da dissoluzione della maggioranza e paralisi governativa.
Se Berlusconi viene superato e il nuovo bipolarismo sarà tra Pd e 5 Stelle, la spinta nel Nuovo Centro Destra a convergere su Renzi sarà quindi molto forte (avendo come alternativa il farsi “asfaltare”).
Non va però dimenticato che Berlusconi ha registrato vittorie − o comunque clamorose rimonte − non per il suo carisma personale (come sostengono i berlusconiani), né per manipolazione mediatica (come sostengono gli antiberlusconiani), ma perché un 5 per cento dell’elettorato di centro, indeciso fino all’ultimo, ha finito per votarlo “ad occhi chiusi”, prima per allergia agli ex Pci a Palazzo Chigi e poi per esasperazione fiscale. Il 25 maggio si va a votare sull’onda della dichiarazione dei redditi e l’esasperazione è a fior di pelle. Basteranno gli 80 euro su cui ha puntato Renzi?