Il risultato della tornata europea si presta a diverse interpretazioni, a seconda che lo si giudichi dall’angolo tipicamente continentale, del complesso dei Paesi dell’Eurozona, oppure dalla realtà dei singoli Paesi. Cambia la mappa europea, non tanto per la presenza dei due grandi partiti di maggioranza, che restano, il Ppe e i socialdemocratici, ma per l’ampiezza dei nuovi movimenti euroscettici che entrano nel Parlamento di Strasburgo.



Quale tipo di forza, di massa d’urto o di gruppo, porteranno questi partiti euroscettici è ancora difficile valutarlo, sia per la reale consistenza del Parlamento europeo nei confronti della Commissione, sia per le diversità che separano tra loro i gruppi euroscettici. L’“altra Europa” del greco Tsipras mette in discussione la politica attuale dell’Europa ma non ha nulla a che vedere con la scelta anti-euro e nazionalista della francese Marine Le Pen oppure del britannico Nigel Farage.



Facendo per un momento un consuntivo a “botta calda”, si può dire che sono in corso due “terremoti” politici. Il primo nel “cuore” dell’Europa, a Parigi, dove il Front national di Marine Le Pen stravince le elezioni, arriva al 25 percento, quasi umiliando i socialisti di François Hollande (che toccano il minimo storico dei consensi) e distaccando sensibilmente la destra dell’Ump. La crisi politica francese, che si riflette pesantemente in campo europeo, è arrivata al punto che oggi ci sarà un gabinetto di crisi all’Eliseo. Il secondo “terremoto” politico si sta svolgendo in Gran Bretagna, dove l’Ukip di Nigel Farage diventa il primo partito davanti ai “tories” e al Labour Party, un fatto impensabile fino a qualche anno fa. Certamente, per quanto riguarda gli equilibri dell’Eurozona, il “terremoto” inglese ha meno effetti destabilizzanti di quello francese. 



In Gran Bretagna c’è sempre la sterlina e lo stesso David Cameron non ha di certo un atteggiamento favorevole alla politica europea a trazione tedesca. Si può aggiungere, a queste fibrillazioni, l’affermazione di Tsipras in Grecia, che va a scontrarsi con la politica di Angela Merkel. E ci sono ancora altre realtà che danno un’idea dell’insofferenza verso questa politica europea, tutta rigore e austerità, in varie zone dell’Europa. Non è un caso che il presidente della Bce, Mario Draghi, commenti con amarezza: “Gli elettori in tutta Europa si sono chiaramente allontanati, vogliono risposte”.

Il commento di Draghi è preoccupato, soprattutto per il “sussulto” della Francia e il sempre più marcato “distacco” inglese. Ma si può aggiungere che anche l’astensionismo, che complessivamente resta di gran lunga superiore al 50 percento (anche se c’è stato un lieve miglioramento), misura la lunghezza del distacco tra elettori europei e il Parlamento di Strasburgo. A ben vedere i grandi Paesi fondatori che hanno dato stabilità a questa Europa sono stati la Germania e l’Italia. 

Scontata l’affermazione della Merkel in Germania e l’affermazione del socialdemocratico Martin Schultz. Marginale, anche se in crescita, la lista degli euroscettici tedeschi. Meno scontata l’affermazione del Partito democratico di Matteo Renzi in Italia, nella misura in cui è avvenuto, contro i “potenziali” euroscettici di Beppe Grillo, contro la pattuglia (che pure è andata bene) dei leghisti, la presenza di Fratelli d’Italia e soprattutto il pesante arretramento di Forza Italia.

Guardando da lontano la situazione italiana, si potrebbe dire che l’Italia non appare affatto euroscettica come si diceva e si pensava. In realtà, le cose stanno probabilmente in modo diverso e una svolta europea è auspicata da tanti cittadini italiani. Ma il problema è che le elezioni in Italia hanno riguardato soprattutto una contrapposizione durissima, a tratti persino volgare, tra il Partito democratico che rappresentava il “sistema” e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che, con il consueto “tutti a casa”, si poneva sul versante dell’antisistema. 

In definitiva le elezioni europee, in Italia, riguardavano soprattutto l’Italia, il “cortile di casa”. In questo caso la scelta per Renzi e il “suo” Pd è apparsa a molti come un fatto di “buon senso”, trascurando persino la coalizione governativa, dove il Nuovo centrodestra sembra solo una comparsa. La scelta a questo punto è stata quasi obbligata per molti italiani che, magari, non hanno mai neppure pensato di votare per il Pd. Si aggiunga a questo la figura di un politico “solitario”, una sorta di “ultima carta” da giocare nella classe politica italiana tanto screditata. Matteo Renzi ha, tutto sommato, interpretato bene la sua parte: ha rassicurato, fatto le aperture necessarie a ceti sociali non tradizionalmente collegati alla sinistra e non ha mai vestito la “maglietta” del giustizialista che tanto andava di modo in questi ultimi venti anni.

Nel testa a testa che si poneva alla vigilia della campagna elettorale, alla fine è stato Beppe Grillo ad andare “fuori strada”, probabilmente radicalizzando troppo lo scontro, neanche fosse una sorta di ordalia. Può anche darsi che il Movimento 5 Stelle sia ormai un movimento radicato, ma la storia insegna che i movimenti di questo tipo difficilmente si radicano quando perdono le partite decisive. E non c’è dubbio che questo delle europee era un test decisivo e fondamentale, come lo sottolineava lo stesso Grillo.

Ora comunque, tamponata la situazione italiana, resta aperta la situazione europea. Restano aperti i problemi dello stesso Renzi nei confronti della politica europea a trazione tedesca. Sarà difficile giocare una partita di correzione all’austerità, pensando di rispettare i diktat della Commissione, cioè i parametri fissati dall’Europa. Renzi si è solo liberato dell’ingombro italiano, ora deve affrontare i “mastini” di Bruxelles. E la partita è tutt’altro che facile.

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