“Si è trattato di un voto di speranza straordinario, non di un referendum sul governo”. Sono le parole del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nella conferenza stampa sul dopo voto all’indomani delle elezioni europee. E ha aggiunto il premier: “Qualcuno mi ha rinfacciato che ho festeggiato poco, ma preferisco mantenere il senso della realtà. Ora non c’è più tempo per rinviare le riforme, non ci sono più alibi. Vogliamo arrivare al 1° luglio con umiltà, responsabilità e precisione”. Parole che rendono bene il senso che la vera sfida per Renzi sia iniziata ieri mattina. Come commenta Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, “molti degli elettori del Pd alle Europee sono il popolo delle partite Iva e i piccoli imprenditori del Nord Italia. Finora Renzi ha dimostrato di essere un leader, adesso si vedrà se è anche uno statista”.



Qual è l’identikit degli 11 milioni di italiani che hanno votato per il Pd?

Il risultato storico che emerge da questo voto consiste proprio nel fatto che stavolta gli identikit tradizionali sono del tutto stravolti. Renzi ha sfondato per la prima volta nella storia della sinistra italiana i recinti sociali ed elettorali che l’hanno sempre contenuta. Ha superato quel terzo dei voti che la sinistra ha sempre rappresentato anche nei migliori momenti. Renzi ha fatto irruzione nel campo avversario, e ciò vuol dire che si è rotta la barriera che nella Seconda Repubblica ha tenuto separato l’elettorato di centrodestra da quello di centrosinistra. Il Pd ha ottenuto una percentuale superiore nel Nord produttivo delle partite Iva, rispetto al Sud dell’assistenzialismo statale. Nei voti di Renzi c’è dunque un elettorato che non è più quello tradizionale della sinistra.



Il Pd al 40% è veramente paragonabile alla Dc?

Da un punto di vista numerico sicuramente sì. Sia pure su basi elettorali molto più ampie, perché ieri l’affluenza è stata del 55,5%, l’ultima volta che un partito ha superato il 40% è stata la Dc di Fanfani nel 1958. Lo stesso tratto “rottamatore” di Renzi richiama molto Fanfani, il grande innovatore della Dc nonché l’inventore del centrosinistra. In più c’è una certa similitudine nel fatto che anche il Pd ha assunto le caratteristiche di un partito interclassista, che ha occupato il centro dell’elettorato come faceva la Dc. E soprattutto si trova a interagire con un sistema politico molto frammentato in cui il primo avversario, l’M5S, non ha la possibilità di coalizzarsi per andare al governo, esattamente come succedeva al Pci ai tempi della Dc. Anche in questo caso abbiamo una centralità del Pd data anche dal fatto che i suoi avversari non sono in grado di insidiarne il carattere maggioritario.



E se quella di Renzi fosse solo una bolla, o il risultato di una politica di annunci?

Lo vedremo presto. Questo passaggio elettorale toglie ogni alibi, nel senso che Renzi ha già dimostrato di essere un leader, un uomo capace di trascinare il Paese con le sue proposte. Ora è il momento di dimostrare di essere uno statista, capace di attuare quanto ha presentato finora. Non è soltanto questione di realizzarlo, ma anche di riuscire a pensare una strategia.

 

Queste europee allontanano o avvicinano le elezioni anticipate?

Non credo che Renzi sia tentato di indire elezioni anticipate a breve, anche perché ha una possibilità senza precedenti di attuare il suo programma. Non si vede perché dovrebbe sprecarla per un’altra gara elettorale dall’esito incerto, e con una volatilità molto elevata dell’elettorato. La pistola che ha agitato finora, le elezioni anticipate, adesso è carica più che mai perché tutti sanno che il premier ha una forza elettorale notevole, e non credo che i suoi alleati vorranno rischiare. Questo voto allontana le elezioni e costringe Renzi a governare.

 

Renzi sarà tentato di fare le riforme da solo?

Per ottenere le riforme e farle bene, Renzi deve apprendere l’arte della pazienza, del compromesso, della prudenza, e sfuggire alla tentazione del tatticismo. Negli ultimi mesi il premier ha parlato esclusivamente all’elettorato, e quindi anche le riforme annunciate sono state fatte più che altro per ottenere l’investitura dell’urna. Ora per fare le riforme ci vuole un lavoro in Parlamento, che è fatto di norme e aggiustamenti, come è evidente soprattutto per la riforma del Senato. Senza la pressione di una consultazione elettorale, ora il premier può dedicarsi a questo lavoro. E’ ciò cui mi riferivo quando parlavo della necessità che Renzi dimostri di avere un profilo da statista.

 

(Pietro Vernizzi)