La speranza ha sconfitto la paura. Nei giorni del suo trionfo, è lecito essere indulgenti verso le parole altisonanti con cui Renzi enfatizza la vittoria del Pd. E c’è anche un motivo più profondo per interrogarsi su tali parole: contengono implicazioni storiche di cui forse neanche Renzi ha piena consapevolezza. Qualche anno fa Dominique Moisi ha scritto un libro, Geopolitica delle emozioni, In cui distingueva tra i popoli della paura, quelli dell’umiliazione e quelli della speranza. Moisi indicava la paura come il sentimento dominante dell’Occidente, mentre coglieva nei popoli arabi un forte senso di umiliazione e nei paesi del cosiddetto Bric, come la Cina, il primato della speranza.
I popoli che hanno conquistato più ricchezza e benessere di tutti gli altri, infatti, sono anche quelli che hanno più da perdere: è il caso dei paesi occidentali e in particolare dell’Europa attanagliata da un senso sempre più forte del proprio declino. Come i leader degli altri movimenti anti-europei, anche Grillo ha cavalcato la paura, il senso di rabbia e di impotenza che ne derivano o l’ebrezza incosciente che spinge al gioco del “tanto peggio, tanto meglio” soprattutto tra molti giovani. Ma, contrariamente a molte aspettative, Grillo è stato sconfitto e Renzi ha collegato il successo del suo partito ad una “vittoria della speranza”.
Indubbiamente, il leader del Pd ha colto un elemento importante: oggi, più degli interessi, sono i sentimenti che possono orientare le scelte politiche. Lo scontro tra Renzi e Grillo non è stato tra leader di forze politiche rappresentative di differenti gruppi sociali o di specifici interessi economici. È stato uno scontro tra due diverse visioni ideali o, più precisamente, tra due sentimenti in grado di ispirare approcci differenti alla realtà in cui viviamo.
È la prima volta che ciò accade dopo anni di politica post-ideologica molto arida. Non si tratta di politica immateriale da società post-moderna: a questi sentimenti diversi corrispondono scelte politiche assai concrete, anch’esse molto diverse, sebbene i loro contenuti non siano del tutto definiti e i loro contorni restino confusi. Oggi in Europa, verso gli immigrati paura vuol dire indifferenza o ostilità mentre speranza vuol dire accoglienza e ospitalità. È sorprendente che la principale forza politica sostenitrice di un governo che ha realizzato l’operazione Mare Nostrum sia riuscita a raccogliere tanti consensi. Sono passati appena pochi anni da quando anche il Pd inseguiva la Lega sul terreno della sicurezza e della paura degli stranieri. In queste stesse elezioni, inoltre, la Lega ha conquistato un buon risultato enfatizzando atteggiamenti xenofobi. Eppure il Pd renziano non è stato penalizzato dai più di 19mila salvataggi effettuati nel Mediterraneo nel corso del 2014.
I recenti risultati elettorali mostrano che, nel mondo post-ideologico, il politico non è costretto necessariamente ad inseguire le emozioni più facili, ma può anche cercare di sintonizzarsi con i sentimenti più costruttivi. Non è stato certamente Renzi a far cambiare atteggiamento agli italiani nei confronti degli immigrati. Ma egli ha avuto la capacità di raccogliere una novità seminata da altri, in primo luogo da papa Francesco che, con la sua visita non politica a Lampedusa, ha compiuto un gesto con vastissime conseguenze politiche.
Attirando il consenso della speranza e battendo il voto della paura, Matteo Renzi ha posto le premesse per un profondo cambiamento del sistema politico italiano. Ma non gli basterà vincere in Italia. Il suo successo è in netta controtendenza rispetto ai risultati prevalsi in altri paesi europei. La sua capacità di andare controcorrente è indubbiamente un titolo di merito, ma è anche un motivo di fragilità. Si impone oggi a Renzi un impegno ancora più difficile: solo esportando la speranza anche altrove, infatti, il suo inatteso successo non sarà gelato dai venti freddi che vengono dal resto d’Europa.