Il Servizio Bilancio del Senato ha presentato un documento in cui si afferma che mancherebbero le coperture per il bonus da 80 euro per i lavoratori previsto dal governo Renzi. Secondo gli esperti di Palazzo Madama il gettito legato all’innalzamento della tassa sulle rendite finanziarie potrebbe essere più basso del previsto, mentre le minori entrate legate al taglio dell’Irap potrebbero essere superiori a quanto ipotizzato. Ne abbiamo parlato con Raffaello Lupi, professore di Diritto tributario nell’Università Tor Vergata di Roma.



Professor Lupi, davvero Renzi avrebbe sbagliato a fare i conti?

Ho una proposta per abbattere la spesa pubblica: licenziamo subito questi quattro funzionari del Servizio Bilancio del Senato, i quali ci costano 500 milioni di euro l’anno. Le loro critiche sono davvero speciose, si vede che vogliono mettere in difficoltà il governo attraverso un pretesto.



Vediamo le critiche una per una. Davvero la tassa sulle rendite finanziarie porterà introiti inferiori al previsto, in quanto i contribuenti sposteranno i loro investimenti all’estero?

Quella del Servizio Bilancio del Senato è una cortina fumogena di espressioni apparentemente di senso compiuto per disorientare gli interlocutori. Gli investimenti in attività finanziarie estere da parte di cittadini italiani vanno comunque dichiarate nel nostro Paese. Un contribuente ha solo due alternative: o evade, o paga comunque l’imposta a prescindere dal fatto che l’aliquota sia al 20 o al 26%. La tassazione è parificata e non esistono vie di fuga esenti.



Per il Servizio del Senato, il gettito Irap è aumentato e quindi il taglio introdotto dal governo Renzi avrebbe conseguenze tributarie superiori al previsto. Lei che cosa ne pensa?

Il gettito Irap è cresciuto perché sono aumentati gli stipendi pubblici, per via degli aumenti automatici e dei nuovi contratti. Il taglio introdotto dal governo Renzi riguarda però solo l’Irap privata delle imprese.

Che cosa ne pensa invece della questione dell’Iva?

Il passaggio più scorretto della relazione è quello in cui si afferma che c’è “la possibilità (più che verosimile) che una parte dei pagamenti ricevuti dai creditori delle amministrazioni pubbliche sia dagli stessi utilizzata per regolare a loro volta posizioni debitorie nei confronti dei propri fornitori”. Nelle Asl e nelle altre imprese pubbliche la fattura non si emette quando si consegnano le merci, ma bisogna attendere il pagamento in quanto si dà per scontato che quest’ultimo avviene in ritardo. Ma chi vende le sbarre alla società che fa i ponti sullo Stretto di Messina, l’Iva la paga subito. Nel momento in cui la pubblica amministrazione salda i debiti pregressi non si detrae l’Iva, in quanto quest’ultima è già stata detratta.

Veniamo al quarto punto, le quote di Bankitalia.

In questo caso gli esperti del Senato ipotizzano che l’aumento della tassazione sulla rivalutazione delle quote detenute dalle banche nel capitale della Banca d’Italia comporti profili di incompatibilità con il dettato costituzionale. Ritengo davvero difficile però che le banche sollevino una questione di costituzionalità sulla rivalutazione, che aumenterebbe loro anche il patrimonio di vigilanza.

 

Che interesse avrebbero i funzionari del Servizio del Senato a presentare un documento che mette in difficoltà il governo?

Se non ci fosse una copertura politica all’interno del Senato, o meglio una sollecitazione, questo documento non sarebbe stato presentato. Questo documento non è stato presentato di loro spontanea iniziativa, in quanto dietro di loro ci sono i senatori che covano una serie di malumori nei confronti del governo. Tra i motivi di malumore c’è in particolare la riforma del Senato. Non a caso, il documento non è stato presentato dal Servizio Bilancio della Camera bensì da quello del Senato. Può quindi cadere il governo, saltare la riforma di Palazzo Madama, l’Italia può sprofondare nel caos, ma il Servizio Bilancio del Senato continuerà a esistere.

 

(Pietro Vernizzi)