Senato elettivo o non elettivo? Nella serata di martedì il governo è andato sotto in Commissione affari costituzionali che, anche con voti dei dem (e di Forza Italia, Sel e M5S), ha appoggiato l’ordine del giorno (elettivo e fortemente regionalista) del senatore leghista Roberto Calderoli, bocciando quello di Anna Finocchiaro. Al termine di un travaglio assai complicato, la maggioranza è riuscita – con l’aiuto di FI – a dare alla luce il suo testo base. Gli azzurri fungono da salvagente per Renzi&co e Paolo Romani (capogruppo azzurro a Palazzo Madama) lo fa notare. Il costituzionalista Stelio Mangiameli cerca di delineare una linea guida nel caos.



Facciamo il punto sul caos Senato. Il governo è andato sotto in Commissione, dove è stato approvato l’odg Calderoli (anche con voti dal Pd e di Forza Italia), ma alla fine è riuscito a presentare il suo testo base (di nuovo grazie ai forzisti).

Il problema di fondo è che tra l’ordine del giorno Calderoli e il disegno di riforma costituzionale del governo vi è una profonda discrasia. Sono due atti che hanno un’ispirazione profondamente diversa.



In sintesi?

Il disegno del governo costruisce, essenzialmente, un Senato poco rappresentativo e con pochissimi poteri, molto limitati nella legislazione ordinaria, mentre quello Calderoli – oltre a conferire una considerevole quantità di potere alle regioni – prevede un Senato molto più articolato e con poteri incisivi. Quindi, il fatto che la Commissione affari costituzionali abbia votato sia l’odg Calderoli che quello della Finocchiaro pone le premesse per una situazione incerta e quanto mai torbida. Oltre alla giravolta di Forza Italia, anche lo stesso Pd, spaccandosi, ha determinato questo risultato.



Ecco, veniamo al dietrofront di FI…

Sì, ma ricordiamoci che la versione ufficiale di Forza Italia, espressa da Berlusconi, è che il Senato così com’è nel ddl del governo non è votabile.

In commissione gli azzurri hanno votato entrambi gli odg, annullandoli a vicenda. Si è così tornati al punto di partenza…

È stata un’operazione politica con la quale Forza Italia ha voluto sottolineare che la sua presenza è decisiva, in ogni senso, per le riforme. “Non esiste la possibilità di una riforma costituzionale senza di noi”: è stato questo l’obbiettivo politico perseguito ieri dai forzisti. Dopodiché anche loro dovrebbero dirci cosa vorrebbero fare; è vero, lo si può evincere dalle dichiarazioni di Berlusconi: il partito tenderebbe ad assecondare la velleità riformatrice di Renzi, ma non è convinto del modello di Senato avanzato dal governo. Perciò, da questo punto di vista, un comportamento che potrebbe sembrare contraddittorio – cioè quello di dare il voto a due proposte che cozzano tra loro – ha senso, eccome se lo ha.

Ma quello che viene votato in un odg quanto è vincolante poi per l’azione di governo?

Innanzitutto è vincolante per la stessa commissione, che deve arrivare a un testo unificato dalle diverse proposte. Che poi non si tenga conto di tutte le indicazioni avanzate (come quelle che recano la firma di Roberto Calderoli) e che si passi direttamente al ddl del governo, agendo per emendamenti su quel disegno, si può fare, ma significa solamente una cosa: allungare il procedimento. Infatti ora l’esecutivo deve comunque tenere conto di ciò che è stato avallato dalla Commissione.

 

Qual è secondo lei il punto di criticità maggiore sulla riforma?

La composizione del Senato è il nocciolo della questione. In effetti il disegno di legge governativo costruisce un senato come se fosse un consiglio delle autonomie locali e nazionali, e non come una vera e propria camera parlamentare.  

 

La migliore struttura per il nuovo Palazzo Madama quale sarebbe?

Non c’è una struttura che si può considerare migliore a un’altra: tutto dipende dal disegno complessivo. Se si vuole partorire un regionalismo funzionale allora è chiaro che la seconda camera dovrebbe essere fortemente rappresentativa dei consigli regionali a livello nazionale, così che la legislazione nazionale di riferimento possa essere corroborata dai consigli stessi. Se invece si punta a sminuire il modello regionale, lasciando sì in piedi le regioni, ma considerandole come una sorta di grande dipartimento, allora il fatto di avere un Senato con pochi poteri e poco rappresentativo sarebbe giustificato.

 

(Fabio Franchini)