Difficile dar torto al premier Matteo Renzi quando ripete – un po’ lapalissianamente – che se nel grande cantiere dell’Expo di Milano qualcuno ha sbagliato, deve pagare. Forse è tutto sbagliato, tutto da rifare, quando ormai il conto alla rovescia è a meno 355. Forse c’è veramente bisogno di un super-commissario da Roma al posto di Diana Bracco e di Giuseppe Sala, colpevole quest’ultimo di troppa fiducia nel direttore generale Angelo Paris. Vedremo se il premier fiorentino, atteso a Milano martedì, affonderà il coltello nel grande sogno dell’Expo dopo aver graziato al suo primo test di “sindaco dei sindaci” la Roma in bancarotta di Ignazio Marino.
Nel frattempo, tuttavia, dopo l’ultima retata di ieri a firma del procuratore aggiunto antimafia Ilda Boccassini, il sospetto che a “sbagliare” – nel raggio della Piattaforma Expo – siano stati anche alcuni magistrati meneghini è piu che forte. Anzi: è un sospetto legittimo, nel senso letterale del termine. Da due mesi il Csm, l’organo di autogoverno della magistratura, sta indagando – anzi già un po’ processando – la stessa Procura di Milano: proprio sulle modalità di conduzione dell’inchiesta che ieri ha registrato una nuova escalation dopo gli arresti ordinati un mese fa dall’altro aggiunto, Alfredo Robledo. Quest’ultimo, ieri sera, si è clamorosamente dissociato dalla Boccassini e dal diretto superiore di entrambi – Edmondo Bruti Liberati – in modo quanto meno curioso: attraverso stralci della deposizione a porte chiuse tenuta un mese fa al Csm. L’esplosiva denuncia di inizio marzo (su ilsussidiario.net abbiamo acceso i fari fra i primi) è stata ribadita e articolata in tutte le sue critiche più dure alle modalità di apertura, assegnazione e gestione di fascicoli delicati come quello Expo.
Ma a conferma che l’ordine giudiziario (almeno quello milanese) non è completamente in ordine e forse è in disordine quanto il progetto Expo, non più tardi di ieri mattina, lo stesso dosaggio a orologeria di verbali Csm aveva informato l’opinione pubblica di un clamoroso punto di vista del procuratore generale Manlio Minale: formalmente la massima autorità in Procura a Milano. Più di tre anni fa, la Boccassini non avrebbe avuto i titoli per iniziare di gran carriera l’inchiesta sul “caso Ruby”: ma chi avrebbe dovuto accorgersene e intervenire in ultima istanza se non Minale, invece di attendere tre anni per una “confessione” tra le mura non più tanto granitiche di Palazzo dei Marescialli?
Silvio Berlusconi, intanto è stato inquisito e processato prima sui media e poi dal tribunale di Milano. Forse era davvero penalmente perseguibile, il Cavaliere, ma ha avuto davvero il “giusto processo” garantito dalla Costituzione a tutti i cittadini? La stessa Carta che rende i magistrati formalmente intoccabili e autoreferenziali, ma non perché lo diventino nel modo sostanzialmente più nocivo per la democrazia.
E stavolta a denunciare il malfunzionamento del Palazzo di giustizia di Milano non è il Cavaliere, ma il procuratore generale e un procuratore aggiunto “mastino”, che di tutto è sospettabile fuorché di anti-giustizialismo ideologico. Un professionista della pubblica accusa, Robledo, che ha posto al Csm precise questioni organizzative e professionali, la più rilevante delle quali è questa: l’antimafia è davvero una “specializzazione” giudiziaria, o e un insidioso grimaldello con cui una corrente della magistratura si è autocostituita in “magistratura nella magistratura”? Un apparato autonomo che − fra un’ardita ipotesi di riciclaggio e un certificato antimafia scaduto − entra indifferentemente in una grande banca o in un municipio senza avvertire più nessuno e passa davanti a tutti?
È comunque comprensibile il compiacimento della Boccassini nel ri-arrestare dopo vent’anni Primo Greganti e Gianstefano Frigerio. Il sillogismo è ostentato: se oggi lo stesso magistrato persegue nuovamente gli stessi “colpevoli” di Mani Pulite è nuovamente “dalla parte della ragione” e chi gli si oppone è automaticamente “dalla parte del torto”. In Procura a Milano o al Csm; sui giornali o in Parlamento. Là dove, nelle scorse settimane, si dovevano decidere molte carriere (compresa quella della Boccassini) e molti incarichi strategici (come i vertici delle Procure di Torino e Firenze) e dove all’inizio di luglio i “partiti” dell’Anm si daranno battaglia per le elezioni dei membri togati dello stesso Csm.
Nella Milano dei sospetti e degli specchi, il sillogismo “dei sempre buoni e dei sempre cattivi” può rivelarsi però insidioso. Vent’anni fa la stessa Procura di Milano marciò compatta a rottamare la Prima Repubblica, capitalizzando presso l’opinione pubblica un’unità d’intenti che forse nascose bene rivalità, antipatie personali, sospetti politici. Nel 2014 una Procura abitata ancora da molti inquilini di allora divide invece pubblicamente le sue giornate fra sanguinosi conflitti interni e iniziative giudiziarie che celano a fatica i regolamenti di conti in corso. Se ne andasse di mezzo l’Expo 2015 sarebbe grave. Ma ancor più grave sarebbe apprendere dagli stessi magistrati del 1992 che il Palazzo di giustizia di Milano è (o è stato) uno dei tanti palazzi di potere a rischio costante di mistificazione e degenerazione.
PS. Negli annali di Mani Pulite, alla voce “Greganti”, spicca ancora un’eccezione: all’arresto del “compagno G” non seguì la distruzione del Pci, come invece accadde per tutti gli altri grandi partiti della Prima Repubblica. Vedremo se il “rito ambrosiano” sarà replicato: ancora poco tempo fa ha risparmiato l’ex presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, plenipotenziario al Nord dell’ex leader Pd Pierluigi Bersani. Nel frattempo, il mattinale di ieri ha registrato l’arresto del presidente della squadra di basket di Siena, storicamente sponsorizzata da Mps: questo pochi giorni dopo che la Procura di Siena si è disfatta per incompetenza territoriale di un pezzo importante dell’inchiesta sul gigantesco crack cittadino del Montepaschi. Quello vero.