“A livello locale il Pd non si è giovato del traino di Renzi. E’ un fatto molto preoccupante, perché significa che il centrosinistra non si può compiacere del successo alle Europee”. Lo evidenzia Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, commentando i risultati dei ballottaggi delle amministrative. Rispetto alle precedenti elezioni locali, il centrosinistra passa da 16 a 20 Comuni capoluogo di Provincia, il centrodestra da 12 a 6 e il Movimento 5 Stelle conquista per la prima volta Livorno, espugnando quella che fino a poco tempo fa era considerata una roccaforte rossa. Qual è il primo dato che balza agli occhi da questi ballottaggi? “Ritengo in primo luogo significativo il dato sull’astensione, perché un tale disinteresse segna certamente un punto di passaggio nella storia politica italiana. Stiamo andando più o meno sui livelli delle democrazie del nord Europa”.
Al di là dell’astensionismo, il significato di questi risultati è innanzitutto politico o è legato solo a situazioni locali?
L’elemento politico che si evince è che il fenomeno Renzi non si è ancora trasferito al Pd nel suo complesso. A livello locale il Pd non si è giovato del traino di Renzi. E’ un fatto molto preoccupante, perché significa che non ci si può compiacere del successo alle Europee. Nonostante il 40%, il Pd non è ancora il partito della nazione di cui parla Renzi. Dopo il 25 maggio sembrava che i giochi politici fossero chiusi per lungo tempo, e invece queste elezioni comunali dimostrano in primo luogo una vitalità del M5S ancora notevole, in quanto vincere a Livorno e a Civitavecchia non è uno scherzo. Nello stesso tempo documentano una capacità di rimonta del centrodestra superiore al previsto, perché vincere a Padova è un fatto con un suo valore, soprattutto per la ritrovata alleanza con la Lega.
A essere stati svantaggiati in queste amministrative sono stati soprattutto i candidati del Pd non renziani?
E’ probabile che nei Comuni dove si è perso fossero candidati degli esponenti del vecchio Pd. Ma è quasi tutto vecchio Pd, se si tolgono i giovani entrati nel gruppo dirigente attraverso le primarie vinte da Renzi. Oggi nell’assemblea nazionale siede un numero maggioritario di renziani, ma poi in Comuni, Province e Regioni ci sono ancora gli esponenti di sempre, di cui alcuni sono diventati a loro volta renziani mentre numerosi altri sono legati a D’Alema e Bersani. Il vero problema è come mai ci siano ancora così tante persone, che non c’entrano con il gruppo dirigente attuale, e che rappresentano il Pd nei quattro angoli del Paese.
Qual è il significato del risultato di Perugia, dove il candidato di Forza Italia al ballottaggio ha conquistato 16 punti in più?
Quando le percentuali di voto sono molto basse, questi spostamenti di consensi avvengono più facilmente. A ciò si aggiunge una voglia di cambiamento, in quanto il centrodestra non ha mai governato a Perugia dalla fine della guerra. Ma soprattutto, il centrodestra a Perugia ha fatto quanto si dovrebbe fare a livello nazionale. Dopo una lunga discussione, si è riunito intorno ad Andrea Romizi, un 35enne del tutto nuovo rispetto all’amministrazione della città, e a cui i cittadini si sono affidati proprio in quanto vogliono cambiare. La lezione di Perugia per il centrodestra è che non parte battuto se riesce a innescare lo stesso meccanismo non solo di rinnovamento anagrafico, ma anche di unità politica.
Che cosa ne pensa della vittoria del Pd nei tre capoluoghi lombardi di Bergamo, Pavia e Cremona?
Questa è la grande novità dell’attuale fase politica, che abbiamo visto anche alle Europee. Il Pd ha conquistato i suoi successi più netti nelle Regioni del Nord, cioè nell’Italia produttiva. Questo dato è confermato da questi tre risultati lombardi, che sono molto importanti politicamente perché in alcuni casi si sono solidificati intorno a figure come quella di Giorgio Gori, un ex dirigente Mediaset.
(Pietro Vernizzi)