La parola d’ordine in casa Pd è “serenità”. Che, a seconda dei punti di vista, potrebbe anche suonare come un non troppo velato richiamo a stare allineati e coperti per non mandare all’aria un 40 per cento così a lungo sperato e sognato. Ma guai a vedere dietro le vicende giudiziarie delle ultime settimane un colpo d’acceleratore di chi, come il segretario Renzi, ha fatto della rottamazione la sua missione politica: serve serenità di giudizio per valutare quanto sta accadendo, e se reati ci sono stati da parte di uomini di partito, vanno prima provati e poi eventualmente perseguiti. Dunque, nessuna ennesima resa dei conti interna, che veda contrapposti i giovani contro i vecchi. Luigi Berlinguer ne è convinto, e sposa a pieno la linea che, in mattinata, era stata dettata dal vicesegretario Lorenzo Guerini. E, con la sua solita pacatezza e gentilezza, ci spiega perché.
Onorevole Berlinguer, di tanto in tanto riesplode una “questione morale” in Italia: come mai secondo lei? È un male incurabile?
La prima cosa da dire è che, in realtà, la corruzione c’è in tutto il mondo. Da noi però in questo momento rimane molto più grave che altrove, e questo appesantisce di molto la valutazione sul fenomeno. Nella crisi del rapporto tra cittadini, politica e Stato, di cui l’astensionismo e il grillismo sono un evidente risvolto, l’emergere di alcuni episodi eclatanti non ha fatto altro che aggravare la situazione. Non c’è dubbio, allora, che la corruzione rimanga tra i primi problemi che l’Italia deve risolvere.
Una vera e propria emergenza, insomma.
Guardi, io convengo con Renzi quando dice che occorrono misure molto energiche per prevenire il fenomeno corruttivo, e molto severe nella fase sanzionatoria. Questo per una ragione molto importante: la politica, e quindi l’amministrazione della volontà generale, è una funzione pubblica, e tradirla è cosa più grave di altre forme di reato, salvo ovviamente quelle contro la persona come l’omicidio.
Ogni volta che emerge uno scandalo, non manca chi invoca nuove regole: crede che sia una questione di regole poco chiare o insufficienti?
Senz’altro alcune norme vanno riviste, ma è necessario incrementare in tutti la coscienza della gravità di questo reato: chi è corrotto nella gestione pubblica tradisce il proprio paese, ragion per cui la natura di questa funzione richiede una severità maggiore nella punizione del reato. Le faccio l’esempio della confisca dei beni, che viene autorizzata in caso di reati estremi: ecco, la corruzione è senz’altro uno di questi. Va incrementata la percezione della gravità. Accanto a questa considerazione, però, ne va fatta un’altra.
Quale?
Bisogna sempre distinguere l’azione che investe la sfera penale dall’azione trasgressiva che riguarda l’opportunità politica. Ci sono comportamenti, infatti, che possono essere inopportuni ma non illeciti, che fanno danno politico ma non per questo sono anche reati. Un dirigente politico, quindi, deve essere ripreso e sanzionato. Questo vuol dire, dunque, che devono essere ancora più severe le forme di sanzioni interne ai partiti. Proprio per quello che dicevo prima, il politico deve essere più corretto del cittadino comune, che si aspetta da lui il massimo rigore nella gestione della cosa pubblica.
Se sbaglia solo politicamente?
Se questo accade, però, non deve essere considerato un delinquente. Infine, ricordiamo che una cosa è l’indagine penale, altra è la condanna: anche la nostra costituzione parla della presunzione di non colpevolezza in base alla quale nessuno è delinquente se non è definitivamente condannato. Troppo spesso, invece, il processo mediatico condanna una persona prima della condanna giudiziaria, e infanga molto prima della sentenza. La forza dei media è più grande di un verdetto, che fa ammalare una società di una grave faciloneria nel giudicare persone e cose.
Come si rimedia?
Bisogna elevare la cultura popolare, la cultura civica, facendola diventare un rapporto civile. Bisogna evitare il giudizio facile, come al tempo stesso non vanno bene le spallucce di chi rimane indifferente. In altre parole, serve serenità di giudizio.
Esiste nel Pd una questione morale?
Innanzitutto diciamo che nel nostro partito esistono ben due livelli di prevenzione: lo statuto e il codice etico, anche se vanno introdotte necessariamente delle modifiche per migliorare il panorama complessivo. In secondo luogo, sono dell’avviso che se qualcuno ha compiuto qualche reato, lo si accerti e lo si perseguiti. E basta. Ma questo non deve avere conseguenze politiche, visto che siamo impegnati a governare il paese in un momento delicatissimo.
Non crede, dunque, che Renzi voglia usare la “questione morale” per andare a fondo della rottamazione interna?
No. Anzi, le dirò di più: non posso che concordare con il vicesegretario Guerini quando dice che nessuno vuole usare gli ultimi casi giudiziari per una rivalsa di una parte del partito sull’altra. Sarebbe un gravissimo danno per il partito.
Sono dunque risanate tutte le fratture? Giovani e vecchi di nuovo insieme?
Nel partito non ci sono fratture ma solo sana dialettica politica. Certo, non manca chi ha il gusto della battuta tagliente, ma questo è fisiologico in un confronto interno in un grande partito. E le ultime elezioni amministrative hanno inviato a tutti un messaggio importante: non ha vinto solo Renzi, ma la capacità di ricomporre l’unità, che ha significato anche la conquista di un numero importante di municipi dove si è lavorato davvero tutti insieme per il risultato finale.
E questa cosa la si capisce anche da come il segretario sta gestendo il partito, con un progressivo allargamento del coinvolgimento di tutte le componenti. Per questo dico che non vedo lacerazioni al nostro interno.
Quindi quando si parla di corruzione è sbagliato dire che nel partito ci sia ancora oggi chi, in tanti anni, “non poteva non sapere”.
La cultura del sospetto non porta da nessuna parte. Il rinnovamento di mentalità deve partire anche da noi. Si accertino responsabilità e le si sanzionino. Ma torni a regnare la serenità, indispensabile soprattutto in questo importante frangente storico.
(Piergiorgio Greco)