“Non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo”. Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando da Pechino dopo le polemiche suscitate dall’esclusione di due senatori del Pd, Corradino Mineo e Vannino Chiti, dalla commissione Affari costituzionali per il dissenso dalla linea del governo sulla riforma del Senato. Come ha aggiunto il premier Renzi, “non molliamo di un centimetro. Non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche politico che vuole bloccare le riforme. E siccome conta di più il voto degli italiani, vi garantisco che andremo avanti a testa alta”. Ne abbiamo parlato con felice Casson, uno dei 14 senatori del Pd che si sono autosospesi in segno di solidarietà a Chiti e Mineo.
Senatore Casson, che cosa ne pensa del caso Mineo?
E’ stato fatto un errore politico. Insieme ad altri senatori del Partito democratico all’inizio di questa legislatura abbiamo presentato un disegno di legge di riforma costituzionale, che per quattro quinti coincide con il testo del governo. Non c’era assolutamente una volontà di scontro, ma un contributo che si voleva dare per una riforma importante come quella della Costituzione. La stessa cosa abbiamo fatto quando abbiamo presentato gli emendamenti e partecipato alla discussione in Commissione. E’ preoccupante che in violazione dell’articolo 67 della Costituzione e dello stesso regolamento del gruppo Pd del Senato, si sia voluto intervenire in questo modo di stampo militarista.
Il caso Mineo è collegato alla rimozione di Mario Mauro?
Sì, è collegato in quanto entrambe le vicende nascono all’interno della commissione Affari costituzionali del Senato durante la discussione. C’era la possibilità di introdurre una modifica alla proposta del governo sul punto dell’elettività del Senato, che tra l’altro è un punto che ritengo importante e al passo con i tempi. In passato abbiamo tutti contestato duramente il Porcellum, per ché non consentiva il contatto diretto tra il cittadino elettore e l’eletto, e volevamo abrogare questo sistema dando la parola alla gente. Con questi nostri emendamenti volevamo ridare la parola ai cittadini anche nel nuovo Senato, e invece il governo insiste su questa elezione di secondo o terzo livello. Vorrebbe dire che i senatori saranno nominati dai partiti e non dai cittadini. Ciò è molto difficile da accettare, e un irrigidimento su questo punto a mio modo di vedere è incomprensibile.
Sabato c’è l’Assemblea nazionale del Pd. Lei che cosa si aspetta che accada?
Non ho idea se Renzi vorrà intervenire sul punto e come. Sono però convinto del fatto che ci siano spazi per trovare una soluzione positiva sull’elettività del Senato. Ci sono dei punti di ricaduta, che sono stati proposti sia da noi sia da altri senatori nei vari emendamenti, ed è quindi possibile trovare un accordo comune.
Lei ritiene che Paola De Micheli possa essere il nuovo presidente del Pd?
Non lo so, tra poco avremo la direzione e vedremo che cosa emergerà.
La vittoria di Renzi alle Primarie e poi alle Europee basta come legittimazione democratica per prendere ogni decisione?
Il 40% alle Europee è un risultato estremamente positivo e per la gran parte il merito è di Matteo Renzi. Durante la campagna elettorale il partito è stato molto unito e compatto, non ci sono state divisioni come era avvenuto in passato e ciò certamente ha contribuito al risultato positivo. E’ vero che il Paese vuole le riforme, quello al Pd e a Matteo Renzi è stato un voto di speranza, ma le riforme necessarie riguardano soprattutto le questioni del lavoro, dell’economia, dell’imprenditoria e della finanza. Se dovesse essere posta sia a livello internazionale sia a livello italiano, la questione della riforma del Senato otterrebbe delle risposte interessanti. Dal momento che il punto di divergenza riguarda l’elettività o meno del Senato e il fatto che il cittadino possa o meno votare il suo rappresentante in Parlamento, la risposta alle nostre richieste può essere solo positiva.
(Pietro Vernizzi)