“Non ne possiamo più di un’Italia rannicchiata, impaurita, c’è fame di Italia nel mondo e noi dobbiamo fare di più. Dobbiamo smettere di dividerci e fare finalmente gioco di squadra. Noi andremo avanti a testa alta”. E’ quanto ha dichiarato dal Giappone il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dopo le polemiche sollevate dalla rimozione di due senatori dalla commissione Affari costituzionali in quanto dissidenti sul progetto di riforma di Palazzo Madama. L’esclusione di Corradino Mineo e Vannino Chiti ha portato all’autosospensione di 14 senatori del Pd in segno di protesta. Ne abbiamo parlato con Peppino Caldarola, ex deputato Ds e Pd ed ex direttore dell’Unità.
Quanto è esteso il dissenso nel Partito Democratico?
L’area di dissenso a Renzi esiste, ma non mi sembra così estesa. Questa vicenda è per tanti aspetti surreale, perché è del tutto evidente che Mineo cerca notorietà. Il senatore ha il diritto di esprimere la sua posizione, ma non quello di bloccare una decisione della stragrande maggioranza degli elettori e degli iscritti al Pd. Il suo veto in commissione blocca questa attività, e quindi la reazione di Renzi, che pure non approvo, è tuttavia giustificata.
Mineo esprime solo una minoranza rispetto a un Pd per il resto granitico?
Il Pd non è granitico né lo sarà nel prossimo futuro. E’ semplicemente più grande di prima, e ciò grazie a Matteo Renzi, e non certo grazie a Corradino Mineo. Con le posizioni di Mineo il Pd avrebbe avuto meno del 2%. Quest’area di dissenso nasce fondamentalmente dai perdenti, cioè da quei deputati e senatori che fanno parte di una classe politica beneficiata negli anni di Bersani. Quegli stessi senatori oggi devono fare i conti con la leadership popolare di Renzi che ha portato il Pd a livelli del tutto impensabili fino a prima e del tutto irraggiungibili senza Renzi.
Quella di avere un Senato elettivo è davvero una richiesta fatta solo per avere la notorietà?
Tutte le riforme istituzionali hanno una loro legittimità. Il tema di cui ci stiamo occupando è come ottenere una capacità di produzione legislativa che sia più in sintonia con i tempi, e una rappresentatività che consenta nel tempo di risparmiare sui costi della politica. Un Senato non elettivo, con funzioni diverse da quelle di oggi, raggiunge il risultato di rompere il parlamentarismo duplicatorio in cui siamo immersi da 60 anni. Ha inoltre il vantaggio di portare in Parlamento rappresentanti di realtà locali, e di farlo senza un drammatico costo aggiuntivo per la collettività.
Quindi sono soltanto vantaggi. Un Senato elettivo non è però più democratico?
Posso anche ritenere che chi vuole un Senato elettivo difenda un’idea istituzionale che ha un suo fondamento. Non accetto però il fatto di presentare il Senato elettivo come il baluardo della democrazia, e chi invece pensa a un Senato non eletto direttamente come a un personaggio autoritario. Ritengo ridicolo lo schema secondo cui da un lato ci sarebbero i buoni, cioè i difensori della Costituzione, mentre chi vuole riformarla rientra nella schiera degli autoritari. La tesi di Mineo non è dunque più democratica di quella di Maria Luisa Boschi.
Quali sono le correnti all’interno del Pd?
Da un lato c’è quest’area vicina a Civati, di cui Mineo è l’espressione più sintomatica, e che è rappresentata da esponenti che potrebbero anche uscire dal Pd. Ci sono poi le due componenti ex cuperliane, quella riunita intorno a Roberto Speranza e quella legata a Matteo Orsini. Considero ciascuna di queste correnti del tutto irrilevanti, mentre sarebbe ora di cominciare a occuparsi di quanto si muove nel mondo renziano. Andrebbe approfondita la relazione tra il “cerchio magico fiorentino” da un lato, tanta altra parte del renzismo dall’altra, e la componente di governo che fa capo a Del Rio.
(Pietro Vernizzi)