A fine maggio, l’annuncio di Matteo Renzi, segretario del Pd, di voler rilanciare la formazione politica del partito, cioè educare una nuova classe dirigente, facendo uso di studi e serie televisive americane, ha lasciato molti sorpresi ma purtroppo indifferenti. Sulle ceneri ormai disperse del “migliore”, Renzi ci propone il modello del “Castello di carte” – la popolare serie televisiva americana “House of cards” – che Hollywood ha realizzato traendola dall’omonimo libro, un dramma politico, di Michael Dobbs.
La sorpresa non è nella decisione di formare una nuova classe dirigente, ma è che la componente cattolica della sinistra italiana abbia ormai una concezione della politica in contrasto con la sua storia, che si era sviluppata nella gloriosa scuola di Barbiana, nel Mugello fiorentino. Rileggere quel che don Milani scriveva nel 1954 in “Esperienze pastorali” in occasione del progetto di riforma della Rai è piuttosto istruttivo. Egli vedeva che gli “oratori” televisivi erano piuttosto dei “ricreatori” ai quali “aprirgli la porta significa accettare il tono della società in cui viviamo… Tono di cui abbiamo notato la vuotezza. Di cui potremmo notare la forza di standardizzazione, cioè la capacità di render tutti gli uomini somiglianti, impersonali, stampati”.
Qui di seguito riassumiamo alcuni messaggi chiave tratti dal “Castello di carte” al quale dovrebbe ispirarsi la futura classe dirigente italiana:
1) “I soldi sono come [il villone di Frascati] che si sgretola dopo 10 anni. Il potere è il palazzo di pietra che resta in piedi per secoli. Non si può avere rispetto per coloro che non vedono la differenza”;
2) “Amo quella donna. La amo più di quanto gli squali amano il sangue”;
3) “Gli amici nascondono i peggiori nemici”;
4) “Il potere è come la proprietà immobiliare. Tutto si riduce ad appaltare, appaltare, appaltare. Più vicini si è alla fonte, più alto è il valore immobiliare”;
5) “Ci sono due tipi di dolore. Quello che ti forgia più forte, e quello inutile. Quel dolore che è solo sofferenza. Non si deve avere pazienza per le cose inutili”;
6) “Non c’è altro modo di sopraffare i rivoli del dubbio che con un’ondata di pura verità”;
7) “La democrazia è sopravvalutata”;
8) “La vicinanza al potere illude coloro che vorrebbero esercitarlo”;
9) “Per coloro che assurgono al potere non c’è compassione. Si può solo essere cacciatori o prede”;
10) “La strada al potere è lastricata di ipocrisia e vittime”;
11) “La natura delle promesse è che esse non cambiano le circostanze”;
12) “Una volta un grand’uomo parlò del sesso, tranne che del sesso. Il sesso è potere”;
13) “Da questo momento siete delle rocce. Non assorbite nulla e dite nulla. Nulla può distruggervi”;
14) “Ho sempre detestato la necessità di sonno. Come la morte, mette anche i più potenti uomini sulle loro schiene”;
15) “La cosa migliore degli esseri umani è che essi si fanno semplicemente mettere in riga”.
Comparando il messaggio politico e psicologico del “Castello di carte” con quelli dei numerosi drammi descritti da Shakespeare, dal Macbeth all’Amleto, dal Re Lear al Romeo e Giulietta, non sorprende la violenza delle descrizioni vivide dello spirito umano più profondo ma l’esaltazione positiva del fatalismo in un contesto dark e disumanizzante (ad esempio, il rifiuto delle funzioni naturali). In una miscela di calore, luce, accelerazione e distruzione, il “castello di carte” è un inno percuotente della “gioia del potere”. Diversamente da Shakespeare, quest’opera televisiva non lascia spazio ad alcuna mitigazione.
Sul piano politico, il “Castello di carte” presenta uno scenario credibile di “un’agenda socialmente progressista” che si realizza per la “smania del dominio”, la cui finalità ultima è del tutto irrilevante. Ma anche in questo, già la tragedia greca presentava queste caratteristiche proprie di una parte dell’umanità. Ma è sul piano psico-sociale che il “Castello di carte” diventa molto preoccupante, tetro e intimidatorio. Le tragiche conseguenze che fatalmente colpiscono coloro che sono attratti nell’orbita dell’uomo di potere, così come il tragico costo umano che fatalmente pervade la vita delle moltitudini che dipendono dalla giustizia e dalla compassione degli altri. Il fatalismo, il possesso, l’esaltazione della fedeltà e la leggerezza dell’ironia fanno del “Castello di carte” la “festa tragica perfetta”.
Anche il nome del protagonista “Franco Sottobosco” (Frank Underwood) abitua lo spettatore ad accettare acriticamente l’uomo al potere e l’opacità invece di stimolare il desiderio per la giustizia e la partecipazione. Lontani sono i tempi “idealisti” di Topolino o quelli, da poco celebrati, di Paperino, il “Fantozzi americano”.
Per ora in Italia, complice anche la barriera linguistica, “House of cards” è un prodotto di elite. Però in molte delle frasi dell’attuale uomo al potere si ritrovano le caratteristiche del protagonista Sottobosco. Siamo sicuri che desideriamo questo futuro per noi e per i nostri figli?