Le cosiddette “sostituzioni”, che sarebbe meglio chiamare rimozioni, in Commissione Affari costituzionali stanno forse mettendo in atto un gioco complesso tra diverse forze politiche. Matteo Renzi va avanti per la sua strada e non sembra nemmeno preoccuparsi dei senatori del suo partito che si sono autosospesi. Il premier e segretario ha tenuto l’assemblea del Partito democratico e ha sottolineato soprattutto il successo elettorale con il solito piglio.



Una “bacchettata” a Corradino Mineo, la nomina a presidente del partito di Matteo Orfini, l’annunciata marcia verso il cambiamento, in base soprattutto al fatto di aver sfondato il 40 percento, che comporta ancora maggiore responsabilità verso il Paese.

Tuttavia Renzi non si muove solo all’interno del Pd. In effetti sta maturando qualche cosa sulle riforme istituzionali, soprattutto su quella del Senato e sul Titolo V, che potrebbe comportare alcune sorprese.



Ci sono in circolazione una serie di voci che riguardano contatti e possibili accordi, segreti o non segreti, tra lo stesso Renzi e addirittura la Lega Nord. Scriveva ieri Repubblica che, attraverso Graziano Delrio, Maria Elena Boschi e Anna Finocchiaro, sarebbe in corso tra Renzi e Matteo Salvini, il giovane segretario della Lega Nord, una sorta di accordo.

La conferma sarebbe venuta addirittura da Roberto Calderoli: “Se mantengono quello che hanno detto, per noi l’accordo è soddisfacente. Noi ci stiamo”. I dettagli di questo accordo non sono ancora chiari e Calderoli non li ha specificati. Si è limitato a dire: “Diciamo che si abbandona la controriforma del governo per tornare al Titolo V del 2001, migliorandolo nelle cose che non funzionano”.



Tutto questo fa un po’ girare la testa. Nel 2001 era prevista la riduzione di deputati e senatori, una diversa funzione del Senato (Senato delle Regioni), e anche un ruolo non più inserito nello schema del bicameralismo. Ma se non ricordiamo male, quella che un tempo veniva chiamata “camera alta”, anche nel 2001 si basava sull’eleggibilità, in contrasto con quello dichiarato in questi ultimi tempi sia da Renzi che dal ministro per le Riforme, Boschi. Per esserne certi, in tutti i casi, bisognerebbe andare a rivedere bene quel testo.

Ma forse, da un punto di vista politico, non è tanto questo il fatto importante e decisivo, quanto piuttosto l’inserimento nel gioco del dialogo con Renzi della Lega Nord. Da che cosa può derivare tutto questo?

È probabile che Matteo Renzi non si fidi più tanto di Silvio Berlusconi nel varo della riforma istituzionale e cerchi un appoggio da una parte politica che non è contraria a un’alleanza con Forza Italia e spinge Berlusconi a una ripresa della politica di centrodestra. Ma che tuttavia mantiene una sua indipendenza di movimento, di manovra e di giudizio.

È indicativo ad esempio che la Lega abbia invitato il partito dell’ex Cavaliere a sottoscrivere i referendum che intende proporre, non ottenendo al momento risposta. Se quindi Renzi realizzasse un accordo sulla riforma istituzionale scavalcherebbe Forza Italia o, in tutti i casi, metterebbe il partito di Berlusconi ancora più in imbarazzo con la Lega Nord. Qui si sprecano i “si dice”.

Il problema restano però i numeri e la scelta politica di fondo di Renzi: quella di concordare le riforme con la parte più consistente dell’opposizione che, al momento, resta Forza Italia. Lo stesso Renzi ha dichiarato che, se sarà necessario, incontrerà nuovamente Berlusconi. Forse il problema reale è che per il varo delle riforme, il gioco di Renzi sia quello di fare pressione soprattutto su Berlusconi, in un momento di chiara difficoltà.

Altre brevi frasi di Calderoli sembrano proprio indicare questa “pista”. A chi gli chiede: e se questo patto tagliasse fuori Forza Italia? Calderoli replica: “Qualcuno ci ha convocato quando è andato al Nazareno? No. E sulla legge elettorale Forza Italia ci ha coinvolto? No. Io penso ai cittadini e al Paese, non mi interessa altro”.