Segnatevi la data del 14 giugno 2014. Probabilmente passerà alla storia come quella della morte del Partito democratico. Morte del Pd come l’abbiamo conosciuto sin qui, e nascita di qualcosa di assolutamente differente: il Partito Unico di Matteo Renzi. Chi non ci sta, chi non è disposto ad allinearsi, è pregato di accomodarsi all’uscita. Solo un’opposizione alla Civati può venire tollerata, in chiave di pungolo e di avanguardia. Tutto il resto, correnti e anime diverse, sono destinate a essere fagocitate, o espulse.



L’accelerazione decisa dal premier-segretario all’indomani del voto europeo è micidiale, e chi non l’ha comperso, i Chiti, i Mineo, sono stati investiti con la violenza di un caterpillar. Si è capito in settimana che la musica stava cambiando, e i senatori dissidenti quando sono entrati all’assemblea nazionale si sono trovati schiaffato in faccia un gigantesco 40,8% a dominare la scenografia. Renzi ne ha dato una lettura che lascia poco spazio alla fantasia: “Invito tutti noi – ha scandito – a considerare quel risultato un investimento di responsabilità”. 



Logica conseguenza della premessa: chi dissente dalla linea è da considerare un irresponsabile, e come tale verrà additato al pubblico ludibrio. Del dissenso interno in questa fase Renzi non si mostra affatto preoccupato. Sa che la vera luna di miele con l’elettorato comincia ora, dopo la legittimazione del voto europeo. È perfettamente conscio che più picchierà duro sui frenatori, più vedrà crescere la sua popolarità. E la gragnuola di colpi inferta alla Rai sta lì a dimostrarlo: più mena fendenti sui giornalisti del servizio pubblico, più riceve applausi.

Qualunque oppositore, interno al Pd, oppure esterno, deve ritenersi avvisato. I giovani turchi si allineano, e come premio incassano la nomina di Matteo Orfini, nato dalemiano, alla presidenza del partito. Le sacche di resistenza collocate soprattutto alla sinistra del corpaccione della balena rosa possono pure pensare di andare verso l’abbraccio con Sel, dove Vendola si dice pronto a discutere con Renzi se rompe “la gabbia del governo”. Il premier-segretario, in realtà, non ha alcuna intenzione di discutere con Vendola (che ha pure un sacco di problemi in casa propria), anche perchè è il primo leader del Pci-Pds-Ds-Pd a non avere paura di avere un soggetto politico alla propria sinistra. Lui ha spostato il suo partito al centro ed ha sfondato nell’elettorato moderato, che gli ha dato credito e ora attende risposte.



Avanti tutta, quindi, come partito e come governo. Per Renzi è questo il momento di dimostrare di essere in grado di cambiare le cose per davvero in questo paese incrostato. Il pacchetto di riforme approvato venerdì dal consiglio dei ministri ne è la dimostrazione. Quella che vuol trasmettere il premier è l’immagine di semplificatore e di feroce persecutore di ogni privilegio. Quindi mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici, dimezzati i permessi sindacali e dirigenti licenziabili nella pubblica amministrazione. 

Altro segnale chiave, la lotta senza quartiere alla corruzione, che porta Renzi a invitare i suoi ad andare dalla magistratura a denunciare tutto quel che si sa in tema di tangenti e affini. La testa del sindaco di Venezia Orsoni è solo un danno collaterale, anche se scoperchiare il vaso di Pandora delle mazzette lagunari potrebbe essere doloroso e vedere altri esponenti democratici coinvolti. Nessuno di loro, in ogni caso, è renziano, anzi alcuni rappresentano prime file dell’assetto bersaniano, lontano anni luce dal nuovo corso che parla fiorentino.

Da ultimo, le riforme, che – dice Renzi – non sono un capriccio. L’avvertimento riguarda i democratici recalcitranti, il cui dissenso non verrà tollerato, ma anche i partners di centrodestra chiamati a condividere l’onere della riscrittura della Costituzione. Renzi conta di farcela con le forze della maggioranza e magari con qualche aiutino leghista. Se così non dovesse essere, la pistola posata sul tavolo è quella delle elezioni anticipate, l’arma finale che gli consentirebbe di azzerare il dissenso interno e piallare un centrodestra mai così debole, diviso e privo di leadership. Che si voti con l’Italicum o con il Consultellum, a questo punto poco importa. In entrambe i casi dopo il passaggio elettorale la sua azione sarebbe molto più semplice. Del resto, qualche stampella centrista si trova sempre.