La novità politica di questi giorni è indubbiamente costituita dalla richiesta di dialogo del Movimento 5 Stelle a Matteo Renzi sulla legge elettorale. È vero che quasi nello stesso momento si è avuta notizia dell’avvio di un dialogo tra lo stesso Renzi e Salvini sulla riforma costituzionale, ma sarà soprattutto la prima notizia a tenere banco nei prossimi giorni, poiché è indubbio sia che la riforma costituzionale richiede un asse di accordi più complesso e un processo più lungo sia che non è una novità il fatto che la Lega si accordi con il PD sulle riforme (almeno cerchi di farlo), trattandosi di scenari a noi già noti. Concentrandoci dunque sulla prima notizia, anzitutto va detto che la novità non è costituita  dalla proposta di legge elettorale avanzata dal Movimento come piattaforma per il dialogo. Se, infatti, si leggono le prime informative su di essa ci si rende subito conto che di nuovo c’è ben poco, trattandosi di proposte già avanzate (reintroduzione del proporzionale, modifica delle circoscrizioni elettorali, divieto di candidature multiple….) ovvero di istituti ben noti alla letterature (come il recall, cioè il richiamo dal Parlamento, nel senso di non ricandidatura alla fine del mandato, nei confronti di eletti che non adempiano correttamente il loro ufficio). Proposte, peraltro, stranamente combinate in modo estremamente complesso e farraginoso, comunque di difficile attuazione.



Neppure può considerarsi una novità il mutamento di strategia del Movimento dopo la recente sconfitta elettorale. Il Movimento le strategie le elabora in rete e le consuma ovvero le modifica direttamente dentro l’aula parlamentare, con il voto. Pensiamo per stare a un esempio macroscopico all’ultima elezione del Capo dello Stato, in cui il Movimento ha elaborato una propria strategia (il referendum in rete) e quando si è accorto che la tattica non era riuscita, ha spostato i propri voti. La vera novità è invece un’altra e consiste nel fatto che il Movimento chieda un confronto prima del voto in Parlamento al partito di governo, anche se su una proposta che si asserisce essere stata la risultante del dialogo in rete tra 220mila aderenti. Si tratta di una vera e propria novità rispetto al modulo originario con cui il Movimento ha iniziato il suo percorso politico. Basti ripercorrerlo con alcune immagini: il rifiuto di chiamarsi partito, il dichiararsi apertamente fuori dal sistema dei partiti, la volontà di non chiudersi in Parlamento nella dialettica partitica ma di aprire il Parlamento come una “scatola di tonno”, il rifiuto di entrare nel Governo, il rifiuto di confrontarsi con il Presidente incaricato sul programma di governo.



In questo caso, invece, il Movimento ha cominciato a comportarsi come un vero e proprio partito, che oltre che a confrontarsi al proprio interno sulle strategie si confronta preventivamente con le altre forze politiche (magari per raggiungere qualche accordo) prima del dibattito parlamentare. Dove e se sfocerà questo mutamento è difficile dire, forse non lo sanno neppure Grillo e Casaleggio.

Ciò che è certo e che con questa mossa hanno consapevolmente o inconsapevolmente mutato la loro conformazione originaria: da movimento antisistema a movimento che con il sistema si è convinto perlomeno a parlare.La simbologia in politica è fondamentale: non importa da se questo parlare arriverà qualcosa (anche se sarebbe auspicabile) ciò che importa è la volontà politica che l’atto esprime. E tale volontà in questo caso e chiara: non basta più il voto in Parlamento ma occorre che prima o dopo maturino accordi o strategie condivise.



Se cosi fosse sarebbe una bella novità, poiché un movimento che ha raccolto cosi tanti consensi elettorali non può permanentemente stare fuori dal sistema. Occorre, infatti, che la fiducia che gli elettori gli hanno accordato si trasformi in qualche linea politica. Occorre in altri termini che i voti che hanno ricevuto si trasformino in strategie per il bene del paese, oltreché dei loro elettori. Forse, invece, dietro tale richiesta ci sono tatticismi: sorpassare a destra Berlusconi, ovvero allungare il brodo del dibattito. Chissà, lo vedremo.Di certo è che la politica vive di simboli e spesso è più rilevante ciò che appare agli fuori rispetto a quello che effettivamente è. Quello che oggi osserviamo è, da questo punto di vista, davvero rilevante, se poi sortirà anche esiti (buoni possibilmente) concreti, sarà bene per il Paese.