Sono state un terremoto le elezioni europee, e le onde sismiche hanno colpito soprattutto il centrodestra. Macerie fumanti, da ricostruire, da zero o quasi. Il primo ad accorgersene è stato Angelino Alfano, scampato allo tsunami Renzi, che ha seppellito Scelta Civica solo grazie all’intervento ai limiti del miracoloso di (san) Lorenzo Cesa, il cui scudocrociato ha dato un contributo piccolo, ma determinante, al superamento della soglia di sopravvivenza del 4 per cento. 



Alfano nei giorni dopo il voto ha avuto la certezza che stando fermo avrebbe finito per essere fagocitato da Renzi, che si è visibilmente spostato verso il centro, lanciando l’idea del “partito della nazione”, che fu slogan a destra di Cossiga prima, di Fini ed Alemanno poi.

Per Nuovo Centrodestra si profilano mesi difficilissimi: la sua voce nel governo conterà pochissimo, visti i rapporti di forza oggi di uno a dieci. Dovrà quindi fare di tutto per rendere visibile la propria presenza senza una rottura definitiva. Non sarà facile, perché il rischio di passare per satelliti del Pd è concreto. Alfano ha quindi cercato di giocare in contropiede, lanciando l’idea di un centrodestra da ricostruire partendo dalle forze che condividono il riferimento al Partito popolare europeo. 



L’invito coglie Forza Italia in mezzo al guado come non mai nella ventennale storia del berlusconismo. La parabola del leader azzurro ha conosciuto il suon punto più basso, e il partito è scosso dai fremiti di chi vuole guardare oltre Berlusconi. Con interesse ad Alfano guarda certamente Raffaele Fitto, che si sgola sin dalla notte dei risultati nel chiedere le primarie come strumento per ripartire consacrando una nuova leadership, la sua. Le 283mila preferenze raccolte nella circoscrizione meridionale gli conferiscono una robusta forza contrattuale.

Per Berlusconi accedere a questa richiesta significherebbe accettare di farsi sfilare il partito. In un crescendo polemico il no dell’ex Cavaliere si è fatto sempre più netto. Non che manchi della lucidità necessaria a capire che serve un rinnovamento profondo. Infatti nel prossimo ufficio di presidenza si accinge a dare il via al tesseramento, ai congressi locali e alle primarie, che saranno però di coalizione quando sarà necessario scegliere candidati sindaci, governatori o premier.



La differenza è sostanziale: fare congressi al posto di primarie di partito significa da un lato limitare il voto ai soli iscritti, dall’altro raccogliere fondi con le tessere, visto che le casse sono desolatamente vuote. Del resto, Berlusconi non giudica Fitto l’uomo giusto per Forza Italia. Lo vede troppo segnato dalla sua origine meridionale, incapace di porsi in sintonia con le regioni del nord, dove la Lega ha saputo rialzare le proprie bandiere, guidata dall’altro vincitore di questa tornata elettorale, l’altro Matteo. Quel Salvini che ha raccolto 330mila preferenze in tutta Italia. 

In questo Fitto assomiglia molto ad Alfano: al Nord non sfonda nessuno dei due. E i richiami venuti dai centristi, così come da alcuni settori dello stesso partito azzurro, a evitare l’abbraccio con chi in Europa è alleato con Marine Le Pen non hanno smosso Berlusconi, che si è limitato a non firmare personalmente i referendum leghisti. 

La nuova giovinezza del Carroccio pone a Berlusconi più di un problema. Se Ncd rischia di finire fagocitato nell’orbita renziana, concreto è il rischio che frange dell’elettorato azzurro siano attratte dalle sirene leghiste. Salvini è perfettamente coscio di potersi muovere con maggiore libertà e spregiudicatezza, essendo saldamente piantato con entrambi i piedi all’opposizione. Su temi come sicurezza, droga, e lotta all’immigrazione clandestina la Lega può caricare a testa bassa, rivolgendosi alla pancia dell’elettorato del centrodestra. 200mila voti raccolti fra il Lazio e le regioni meridionali sono un seme che Salvini intende coltivare e far crescere. 

Forza Italia, insomma, si trova nel mezzo. Da una parte le sirene centriste che chiedono di troncare i rapporti con i populisti, dall’altra la concorrenza dell’alleato più fedele, la Lega, che spara a zero soprattutto sul leader dell’Ncd, in quanto ministro dell’Interno. Il braccio di ferro non avrà probabilmente soluzione sino a che durerà il governo Renzi. 

Solamente quando nuove elezioni politiche saranno alle porte ci potrà essere una reale ricucitura del campo dei moderati. A patto che le fratture di questa fase politica non siano troppo profonde. A patto, soprattutto, che ci sia un leader in grado di federare partiti lontani fra loro. Che si chiami Berlusconi, oppure no.