La sensazione è che alla fine un accordo si farà sul Senato e il Titolo V. Alla fine, c’ è da scommetterci, si troverà la quadra anche sulla riforma elettorale. Si comprende sempre di più il peso che ha avuto il risultato delle elezioni europee. E si avverte che nel Paese, come spiega il professor Marco Fortis, c’è un nuovo clima di “voglia di ripresa”, di rimettersi in gioco in campo economico, anche sulla base di un punto di riferimento politico nazionale che prima del 25 maggio non si riusciva a vedere.



Il premier Matteo Renzi può quindi alzare i toni, come ha fatto in questi giorni, anche all’Assemblea nazionale del Pd, e riesce, di fatto, a condizionare le scelte degli altri partiti.

Facciamo solo un poco di cronaca di questi ultimi giorni. Mentre Renzi batteva il tasto su cambiamento e riforme, imponendo anche misure discutibili come le “rimozioni” in Commissione Affari costituzionali, tre partiti hanno mutato la loro strategia.



La Lega Nord ha cominciato a cercare accordi con la maggioranza, attraverso la “diplomazia” di Roberto Calderoli. Il Movimento 5 Stelle, che sembrava fino a un mese fa arroccato su una posizione di isolamento e di attesa del “crollo istituzionale”, è entrato nel dibattito politico con una proposta di legge elettorale, un sistema proporzionale corretto. Infine Forza Italia, direttamente attraverso Silvio Berlusconi, lancia “una sfida sul presidenzialismo”, ma di fatto dice “I patti li rispettiamo”.

Quello che ha più colpito nelle parole di Berlusconi è stato il punto in cui ha detto, durante la conferenza stampa, che il “presidenzialismo” non era assolutamente una “conditio sine qua non” per chiudere l’accordo sul Senato e il Titolo V.



Ci sono ovviamente strategie e sfumature differenti nel cambiamento di rotta di questi tre partiti. Ma in sostanza prevale in tutti e tre la paura di un isolamento, la paura di essere tagliati fuori, dopo appunto il risultato delle europee.

La Lega Nord recupera, con ciò che si prospetta per la nuova riforma, il ruolo del “Senato delle Regioni” e conferma una sua indipendenza di movimento, anche in una ipotetica futura alleanza di centrodestra. Il Movimento5 Stelle, con la sua apertura al dialogo, risolve probabilmente molti problemi interni. Grillo e Casaleggio potranno spiegare che una proposta è stata fatta e, in caso non fossero ascoltati, la colpa è di un sistema che non vuole cambiare. Berlusconi infine, carico di problemi giudiziari (adesso comincia il processo Ruby), carico di problemi interni a Forza Italia e nel centrodestra, che appare spappolato, non può affatto permettersi di restare isolato e rompere proprio sulle riforme.

Se si guarda all’accordo che sta per essere varato, si può dire che lo scopo principale della fine del “bicameralismo” viene raggiunto. Il Senato recupera molte funzioni rispetto alla prima stesura della riforma, anche se perde quella fondamentale di poter dare o togliere la fiducia al governo. Avrà competenze sulla legislazione regionale e su quella europea, eleggerà insieme alla Camera il Presidente della Repubblica, il Csm e i giudici costituzionali, recupera voce anche sulle leggi elettorali e su quelle istituzionali.

Sembra in dirittura d’arrivo anche l’accordo sulla composizione di questo nuovo Senato: più consiglieri regionali (si parla di tre-quarti) e di un terzo fatto da sindaci. Si discute, ma si dovrebbe essere vicini all’accordo, sui senatori nominati dal presidente della Repubblica.

Si diceva che persino sulla legge elettorale si è all’ultimo miglio di un accordo. Si parla di uno sbarramento al 4 percento e di una soglia alzata al 40 percento per avere il premio di maggioranza. C’è anche chi parla del superamento delle liste bloccate e dell’introduzione di preferenze.

Si vedranno poi nel dettaglio tutti queste aspetti tecnici.

Ma la sostanza politica è il redde rationem che Matteo Renzi è riuscito a imporre, tanto da permettersi di dire: “A questo punto prendere o lasciare, o mangiano questa minestra o si buttano dalla finestra”. Il premier sta riuscendo, sinora, a trasformare il suo in una sorta di “partito-nazione”. Al momento, gli altri si stanno arrendendo.

Sarà forse eccessivo dirlo, ma se il “partito-nazione” si realizza, se piace tanto all’estero, se tutti cercano di trattare e vivono con la paura di restare isolati, non c’è una sorta di prospettiva messicana per l’Italia dei prossimi anni? Facciamo notare che in Messico esiste il Partito Rivoluzionario Istituzionale, che ha governato per ben 71 anni di fila e che è stato messo in minoranza solo qualche volta. È questo il famoso “paese normale”?


(Gianluigi Da Rold)