Gli emendamenti presentati in Commissione Affari costituzionali dai senatori Finocchiaro e Calderoli confermano quanto rilevato a gran voce da una buona parte degli osservatori: il disegno di legge costituzionale del ministro Boschi ha bisogno di consistenti correttivi. Tante e significative sono le modifiche che i due relatori propongono congiuntamente: dalla composizione del Senato al ruolo delle due Camere, dal procedimento legislativo ordinario alla disciplina del decreto-legge, dalla ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni sino alle funzioni della Corte costituzionale.
Ciò dimostra che quando si tratta di riforme costituzionali è facile che la fretta conduca a soluzioni sbagliate. Si pensi, ad esempio, alla riforma costituzionale del 2012 sul pareggio di bilancio: la rapidità di approvazione, in questo caso, è stata direttamente proporzionale agli errori commessi. Ampio confronto, attento studio e accurata riflessione, anche in senso comparato, sono tasselli sempre indispensabili e che non si possono disprezzare soltanto perché fanno perdere tempo.
A poco vale il ripetuto refrain sugli scarsi risultati ottenuti dalle tante Commissioni che, a vario titolo, sono state istituite negli ultimi decenni in tema di riforme. La storia, infatti, dimostra che le innovazioni costituzionali si determinano quando ne sussistano davvero i presupposti di fatto e le ragioni di diritto: non basta invocare una riforma, perché questa sia effettivamente necessaria. Occorre, allora, sforzarsi per trovare quel diffuso consenso nell’intero spettro delle forze politiche che in democrazia è fattore essenziale per cambiare le regole costituzionali. E, poi, occorre evitare che per concretizzare il fine annunciato – cioè l’intento di riformare le fondamenta del sistema istituzionale – si giustifichi qualunque contenuto innovativo, anche quello meno congruo e ragionevole.
Tanto più che anche gli emendamenti richiamati all’inizio non sembrano fornire le indicazioni definitive ai numerosi problemi ancora aperti. Non solo perché occorre attendere la prossima presentazione dei subemendamenti da parte delle altre forze parlamentari, e pure da parte di chi, all’interno della peculiare “maggioranza riformatrice”, non si sente rappresentato dai relatori. Ma soprattutto perché il quadro politico, anche a seguito dei risultati delle elezioni europee, è in forte movimento; e la recente frammentazione di Sel ne è soltanto un esempio.
Alle porte, poi, si presentano scelte di politica economica che fanno tremare i polsi a chiunque: il persistere della recessione, in uno scenario internazionale che non sembra destinato a modificarsi a nostro favore, consentirà di mantenere le non poche promesse sinora formulate sul fronte economico e sociale, e nel contempo rispettare i gravosissimi obblighi europei sull’obiettivo di bilancio, tanto più nella scomoda posizione che l’Italia assumerà nel semestre di presidenza?
Certo, è sempre possibile che, in una fase di così grave debolezza dei gruppi parlamentari, la ricerca di una qualsivoglia sintesi sul fronte delle riforme costituzionali rappresenti un’ancora di salvezza per quel ceto politico che, innanzi alla dimostrata volatilità del consenso elettorale, vede con timore l’interruzione della legislatura.
Ciò che occorre evitare, allora, è che la riforma costituzionale rappresenti il passe-partout per imporre un mutamento di regime che non risponda alle effettive esigenze del nostro ordinamento e ai bisogni reali del nostro Paese. Due devono essere i cardini essenziali della riforma costituzionale: efficienza delle istituzioni rappresentative e democraticità dei meccanismi decisionali. Se così non fosse, si tratterebbe di una riforma inutile, se non addirittura pericolosa.