Immunità sì o no per i nuovi senatori? Il caso sembra mandare in frantumi l’accordo annunciato dal ministro Boschi venerdì scorso. La titolare delle Riforme ha definito l’immunità “non centrale”, per il Movimento 5 Stelle è un favore alla casta, per Renzi un ostacolo che non deve pregiudicare il cammino verso il nuovo senato. Eppure, l’immunità tutti l’avevano voluta, l’accordo c’era, da Forza Italia a M5S. Non ci siamo inventati nulla, hanno detto la presidente della Commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, e il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli. Ma è bastato il sospetto di tutelare qualcuno, di introdurre nottetempo quello che i più chiamano un “privilegio”, per spaccare il partito al governo, seminare indignazione e ricompattare i “ribelli” del Pd; col risultato che la nuova vittima del ventennale conflitto tra politica e magistratura potrebbero essere, questa volta, proprio le riforme. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Rino Formica, esponente di punta del vecchio Psi, più volte ministro, protagonista della cosiddetta “prima repubblica”, che da quella modifica dell’articolo 68 voluta a furor di popolo nel ’92-93 venne spazzata via.
Rino Formica, il fantasma dell’immunità ha inceppato l’ingranaggio delle riforme. È davvero un incidente imprevisto?
Bisogna capire di cosa stiamo parlando. L’istituto dell’immunità parlamentare nasce come esigenza di un parlamento che ha il potere legislativo, il potere di controllo sul governo, e il potere di garantire l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario. I costituenti vollero che per fare questo i membri del Parlamento avessero la garanzia di non subire interferenze da parte dei poteri sui quali avevano il compito di legiferare. Questo è fondamentale in un assetto equilibrato, e l’immmunità venne concepita e introdotta a questo preciso scopo.
Perché parla al passato?
…Se poi invece parliamo di parlamenti che non legiferano più, che non hanno più il potere del controllo, che sono fatti di nominati, o peggio ancora che non prevedono un’elezione diretta, è comprensibile che l’immunità finisca per apparire – e forse, anche per essere – agli occhi dell’opinione pubblica come un privilegio.
Oggi si parla di immunità additandola come un privilegio, in realtà l’immunità post-1993 non è più quella di prima.
Lasciamo stare adesso se tale immunità è limitata o non è limitata. Sull’ampiezza si può discutere, però l’immunità c’è. Ma la realtà è che questa dell’immunità, così come viene sollevata è una falsa questione, il vero problema è che questo signor Renzi si è intestardito a volere un senato dopolavoristico, non eletto dal popolo: come si fa a distinguere, sul piano dell’accertamento di una responsabilità penale, se un’intercettazione telefonica va ad incidere sull’attività di consigiere regionale o su quella di senatore?
Lei non ha l’impressione che si voglia spacciare per senato quella che in realtà è una conferenza stato-regioni?
Mi limito a dire che un insieme di elementi perfettamente coerenti indicano che i soggetti che si stanno occupando di questa materia sono in stato confusionale.
Dove stiamo andando, secondo lei?
È inutile fare scenari. Se non si interrompe questo stato confusionale… come lo si possa fare, non lo so. Perché non è passeggero, è cronico. Certo, siamo a un punto quanto mai delicato della vita democratica.
Da un lato il Pd appare condizionato dalla pressione dell’antipolitica giustizialista, come nel caso Genovese. Dall’altro lato in chi governa sembra prevalere il principio di realizzare qualcosa costi quel che costi.
La sua è una spiegazione troppo benevola. Siamo in uno stato confusionale patologico. Chi può risolverlo, mi chiederà. Si dice che il popolo “vota bene”, ma a me non pare che voti sempre bene.
C’è stata una grossa astensione. Il 40 per cento ottenuto da Renzi corrisponde solo al 25 per cento del consenso.
Questo aggrava il giudizio sulla realtà del paese, non lo migliora.
Ma ci sono le premesse per ristabilire l’equilibrio dei poteri che è andato perduto nel ’93?
Nella storia l’heri dicebamus non esiste. Il problema è che non c’è nelle nuove generazioni un sussulto di riflessione, non su come tornare indietro, cosa che non si può mai fare, ma sulla condizione sbagliata della guida politica di oggi.
Ciò detto, una scialuppa di salvataggio c’è o no?
La mia riflessione, derivata dall’esperienza, mi dice che quando l’uomo giunge al punto realmente critico-esistenziale di non ritorno, ci sono le condizioni per un sussulto vitalistico imprevedibile.
Vuol dire che a quel punto non siamo ancora arrivati.
Vuol dire che la percezione che siamo all’ultimo passo essitenziale probabilmente non c’è. Ma questo momento prima o poi arriva, nella vita degli uomini.
Non le sembra vacillare questo tentativo di riforma istituzionale che ha per sponsor Giorgio Napolitano e artefice Matteo Renzi?
Io raccomando solo una cosa. Le riforme non sono più prorogabili nel tempo, e il momento del riformismo costituzionale ora bisogna consumarlo. C’è una maggioranza, faccia la riforma che vuole. A una sola condizione, l’unica che ritengo giusta: che qualsiasi riforma venga fatta, sia sottoposta al voto popolare. Non la si approvi con i due terzi, ma si modifichi l’articolo 138 stabilendo che con qualsiasi maggioranza venga approvata una riforma costituzionale, sia il popolo a pronunciarsi.
Perché dice questo?
Se il popolo vuole sbagliare, sbagli. In democrazia è così; altrimenti, non si sveglia. Il popolo deve essere portato alla responsabilità della decisione, non alla soddisfazione del mugugno. Col mugugno non si tiene in piedi una democrazia.
Confidando però che l’antipolitica non sia la maggioranza nel paese…
Guardi, non ha più importanza. Ce l’avrà dopo. Il vero problema, in democrazia, è che i molti siano coinvolti rispetto alle decisioni dei pochi.
(Federico Ferraù)