Dopo 120 giorni di governo viene da chiedersi quanto durerà ancora la luna di miele fra Matteo Renzi e l’opinione pubblica. I segnali che sia giunta agli sgoccioli si infittiscono, soprattutto a leggere i giornali. Non c’è soltanto Antonio Padellaro che dalle colonne del Fatto Quotidiano ammette onestamente che al premier si perdona tutto quello che per Berlusconi sarebbe stato imperdonabile, dalla limitazione delle intercettazioni telefoniche, alla reintroduzione dell’immunità parlamentare, sino alla riduzione del Senato a un’assemblea marginale, senza legittimazione diretta.



Il segnale più preoccupante per Renzi è costituito dalla bordata alzo zero che gli ha rivolto il grande vecchio del giornalismo italiano di sinistra, Eugenio Scalfari. Una salva di avvertimento tutt’altro che inattesa, preceduta da un titolo che ammetteva apertamente che “il bonus da 80 euro rimane nel portafogli, impatto zero sui consumi”.



Scalfari va molto più in là. Demolisce il renzismo dei primi 120 giorni pezzo a pezzo. Parte dall’involucro, parlando di un paese che sembra andare con il vento in poppa, ma che si limita all’apparenza in “un gioco di immagini e di specchi, di annunci ai quali la realtà corrisponde molto parzialmente”.

Poi smonta la lettura trionfalistica del vertice europeo di Ypres, perché secondo Scalfari sarà inevitabile in autunno una manovra da almeno 12 miliardi di euro, dal momento che non è affatto vero che il pareggio di bilancio è slittato al 2016. C’è anche un colpo sotto la cintura inerente la partita delle nomine europee: la carica di alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza, che Renzi rivendica per Federica Mogherini (attuale titolare della Farnesina) a giudizio del fondatore di Repubblica non conta assolutamente niente, perché i due dossier rimangono gelosamente custoditi nelle mani dei governi nazionali. Par di capire che un modesto commissario all’agricoltura gode di un prestigio assai inferiore, ma può incidere molto di più sulle scelte di bilancio di Bruxelles. Imperdonabile – sempre a parere di Scalfari – avere preferito lottare per una poltrona inutile, piuttosto che cogliere la palla al balzo dello spiraglio che si era aperto per Enrico Letta presidente del Consiglio Europeo. 



C’è un altro termine durissimo utilizzato da “Barbapapà”, affettuoso soprannome del novantenne grande giornalista: gli 80 euro sono derubricati a “dazione” (termine che evoca qualcosa di losco, al limite con il voto di scambio), che per di più non ha dato alcun frutto in termini di ripresa della domanda interna.

Condanna su tutta la linea, e la domanda retorica di chi riparerà gli errori che sta facendo. Segno evidente, appunto, che la luna di miele stia terminando nel peggiore dei modi con un brusco risveglio dalle promesse mancate. Probabilmente Renzi ne è consapevole, e ai suoi avrebbe confidato, al ritorno dal vertice europeo, che adesso le riforme bisogna farle sul serio.

Renzi ha fretta, e questa settimana rappresenta uno snodo cruciale. Da oggi si vota in Commissione Affari costituzionali sulle riforme, con il fronte trasversale che spinge per un senato elettivo e che non sembra intenzionato a recedere facilmente. In esso si uniscono i mal di pancia di casa democratica con quelli di Forza Italia. Si procede a tappe forzate, con l’obiettivo di avere il primo sì della commissione prima della sentenza sul caso Ruby, prevista per il 18 luglio, che potrebbe avere effetti destabilizzanti sulla tenuta del partito berlusconiano.

Sul piano economico troppi indicatori segnalano un aumento della pressione fiscale, come il ritocco della tassazione delle rendite finanziarie, o l’entrata in vigore dell’obbligo di accettare pagamento con carte di credito e bancomat anche per commercianti, artigiani e professionisti. 

Da ultimo lo scenario europeo, forse quello su cui Renzi punta di più: da martedì comincia il semestre italiano, mercoledì il premier parlerà al parlamento di Strasburgo, convinto di poter invertire il trend e di segnare la presidenza con un piano per la crescita vero, da imporre giocando di sponda con il francese Hollande. La parola chiave della sua comunicazione è che l’Europa deve ritornare a dare speranza, ma in privato confessa che la flessibilità dalla politica del rigore lui e l’Italia se la dovranno meritare. Nel dirlo finisce per dare ragione a Romano Prodi, quando lo ammonisce dicendo che adesso è il momento dei fatti concreti e non delle belle intenzioni.